Gli effetti dei cambiamenti climatici sono oramai tragicamente sotto gli occhi di tutti, nonostante qualche “potente” della terra si ostini a negarlo, virando su fonti fossili di approvvigionamento energetico.
I sempre più frequenti lunghi periodi di siccità e le intense ondate di calore generano il cosiddetto “flash flood”, ovvero alluvioni improvvise che scaricano sul suolo in pochi minuti masse d’acqua che normalmente sono distribuite, durante i temporali ordinari, in un periodo superiore a sei ore. Per trovare una soluzione agli effetti devastanti che questi fenomeni sempre più spesso producono nelle nostre città, dove il suolo è prevalentemente non permeabile e cementificato con evidenti difficoltà di smaltimento dell’acqua nel sottosuolo, alcune Amministrazioni particolarmente illuminate hanno avviato dei programmi di interventi mirati a ridurre le superfici di pavimentazioni impermeabili e a realizzare sistemi di raccolta e deflusso delle acque in eccesso.
E’ il caso di Copenhagen che, dopo la devastante alluvione del 2 luglio del 2011 che causò 1 miliardo e 400 milioni di danni, ha promosso la realizzazione della prima area urbana “resiliente” al mondo : il progetto dello studio di architettura Tredje Natur, prevede infatti una profonda trasformazione delle vie e delle piazze del quartiere San Kjeld, con la creazione di zone piantumate, dune verdi, piste ciclabili, sostituzione di pavimentazioni impermeabili con prati e mini parchi urbani, oltre alla sopraelevazione dei marciapiedi per la raccolta e il deflusso delle acque in eccesso verso il porto. L’idea progettuale nasce da un processo di pianificazione che rilegge gli spazi urbani in chiave ambientale e trasforma il problema delle acque in eccesso in un’occasione per gestire la risorsa acqua.
Questo approccio rovescia completamente la questione dei cambiamenti climatici, visti non più come un flagello ma come un’opportunità per migliorare la città, con un duplice beneficio: rendere più verdi e meno grigi gli spazi e realizzare opere con un rapporto qualità-costi inferiore a quello di interventi di tipo infrastrutturale.
Anche New York, dopo l’uragano Sandy, ha mirato alla creazione di “habitat resilienti” per proteggere l’isola di Manhattan dalle inondazioni e fornire benefici sociali ed ambientali alla comunità. Il progetto “The Dryline” (Big U) del Bjarke Ingels Group prevede una barriera verde attorno a Manhattan lunga dieci miglia formata da tre compartimenti, caratterizzati da terrapieni sopraelevati rispetto il livello del mare che ospiteranno le canalizzazioni per il deflusso delle acque e delle protezioni che lavoreranno di concerto con le piantumazioni di una selezione diversificata d’alberi, arbusti e piante perenni. La ritrovata qualità degli spazi ha permesso la progettazione di aree per il riposo, la socializzazione e la fruizione della vista sul parco e sul fiume.
A Copenhagen come a New York, oltre alla tutela della città, si pensa quindi ad una riqualificazione urbana che coniughi la soluzione al problema del cambiamento climatico come un’occasione di sviluppo architettonico capace di fornire un prototipo di resilienza urbana da esportare nelle zone afflitte da problemi analoghi.
La città di Termoli, invece, in barba ad ogni principio di sostenibilità e di “resilienza” va in controtendenza: il progetto di riqualificazione del centro prevede, oltre alla realizzazione di un complesso polifunzionale di proprietà privata ed il tunnel di collegamento tra il porto ed il lungomare nord, anche un’estesa pedonalizzazione di via Roma e via Margherita di Savoia. Alla superficie bituminosa impermeabile del manto stradale si sostituirà dunque un’altra superficie impermeabile ma stavolta con una pavimentazione, dicono, di qualità. Di riduzione di aree impermeabili non c’è traccia anzi, sbancando totalmente la falesia sulla quale poggia il piano di S. Antonio per far posto al parcheggio multipiano, sarà eliminata la zona del centro con maggiore capacità di restituire l’acqua meteorica al sottosuolo. Il solo magro risarcimento che tecnicamente chiamano “misure di mitigazione” sarebbe la realizzazione di aiuole poggianti su solette in cemento armato in p.zza S. Antonio e sulla copertura del teatro, tuttavia drasticamente ridimensionate nel progetto definitivo e che, a causa dell’esiguo strato vegetale che le sostiene, diventeranno delle risaie in caso di forti piogge.
La recente alluvione del 25 Luglio che ha interessato, non a caso, esattamente il tracciato del tunnel e l’area attorno al parcheggio multipiano, ha reso evidente l’inadeguatezza del progetto di riqualificazione promosso dall’Amministrazione, la quale, come dimostrato con il recente espianto degli oleandri lungo C.so Nazionale, sembra aver sviluppato un idiosincrasia nei confronti della vegetazione a favore del grigio cemento, seppur mistificato dietro qualche geranio o piantina rampicante. Condannando così, Termoli, a passare da città potenzialmente “resiliente” a città “immunoresistente”.
Zona in cui è previsto l’imbocco del tunnel durante l’alluvione del 25 Luglio
La recente alluvione del 25 Luglio che ha interessato, non a caso, esattamente il tracciato del tunnel e l’area attorno al parcheggio multipiano, ha reso evidente l’inadeguatezza del progetto di riqualificazione promosso dall’Amministrazione, la quale, come dimostrato con il recente espianto degli oleandri lungo C.so Nazionale, sembra aver sviluppato un idiosincrasia nei confronti della vegetazione a favore del grigio cemento, seppur mistificato dietro qualche geranio o piantina rampicante. Condannando così, Termoli, a passare da città potenzialmente “resiliente” a città “immunoresistente”.