di Stefano Manocchio
Abbiamo visto in questa operazione di ritorno della memoria calcistica due momenti importanti per lo sport e il calcio in particolare a Campobasso: i tempi della B di Molinari e quelli della creazione di un mentalità semi professionistica di Falcione. I rossoblù però hanno sempre vissuto anche fasi travagliate, ‘specializzandosi’ nei fallimenti con relative liquidazioni societarie, ma anche nelle rinascite. Così, quasi come la fenice (paragone azzardato, lo so), dopo il tonfo, il pallone a Campobasso riemerse dalle sue stesse ceneri e nacque l’Associazione Calcio Campobasso, del presidente Adelmo Berardo ( o ‘l’Adelmo’ come direbbe simpaticamente l’amico Gennaro Ventresca); fu rilevato il titolo dallo Smart Sepino e si ripartì dall’Eccellenza, con un filotto di successi che vide lo zenith nella conquista, nel 1998, a Faenza, della Coppa Italia Dilettanti – Fase C.N.D. fino ad arrivare alla conquista della Serie C2 nel 2000. Il secondo posto nel 2000-2001, con la beffa della sconfitta nella semifinale play-off col Sora; poi, l’anno seguente, la retrocessione e l’ennesimo ritorno nel baratro. Detto questo abbiamo voluto dare merito a Berardo di aver ricostruito il calcio a Campobasso in quel periodo e lo abbiamo fatto nel modo giornalisticamente più adatto, cioè intervistandolo; il ricordo di quei “cinque anni e mezzo” (come ha precisato, perché nel sesto ad un certo punto consegnò lo scettro presidenziale al suo amico Mariolino Pietracupa) è fatto di grandi emozioni e di enormi delusioni, ma è impresso nella mente e già solo per questo è bello.
Adelmo Berardo, a differenza di quasi tutti presidenti delle squadre campobassane che si sono succeduti dall’Eccellenza alla serie B ha avuto il vantaggio di compiere campagne acquisti mirate avendo competenza, sia per la lunga esperienza sportiva che per il fatto di aver militato tra i rossoblù prima in veste di giocatore (nel ruolo di portiere) che di dirigente-presidente.
Non si può mai fare a meno di chiedere al presidente dei ricordi, belli e brutti
“Certamente ricordo ancora la vittoria con il Taranto, per il blasone dell’avversario e per la cornice di pubblico (19.600 paganti, con quasi cinquemila tifosi tarantini al seguito e quarto posto per numero di paganti in quella giornata contando tutte le serie fino alla A, ndr). In qel periodo il Campobasso esprimeva un calcio entusiasmante, affrontava squadre forti e blasonate: Taranto, Barletta, Brindisi e Martina Franca solo per citarne alcune. Era un calcio diverso da quello attuale e anche nelle serie inferiori si vedeva alto tasso tecnico e, come detto, squadre che avrebbero meritato categorie superiori, ben attrezzate e solide. Ma è cambiato anche il pubblico- continua Berardo – e la passione genuina di allora non c’è più. Va detto che c’erano anche i rischi e nelle serie minori alcune partite sono state terreno di ‘guerra’ in senso sportivo e non; andare in alcuni campi non era certo facile, con pubblico numeroso e decisamente accalorato a ridosso della recinzione. La squadra mi ha dato tanto, trascinava il pubblico che la seguiva anche in trasferta. Alla fine però il bilancio genera un misto di sentimento di gioia e di delusione per come è andata a finire”.
Quali sono stati i meriti di Berardo in quei ‘cinque anni e mezzo’?
“Forse di essere al posto giusto nel momento giusto. Ho dato e avuto molto dal calcio in quel periodo; ho dato un pezzo importante della mia vita, con passione. Questo fatto è stato capito dalla gente e in tanti ancora mi riconoscono. Cito un episodio. Dopo la ‘beffa’ con il Sora mi avvicinò una ragazza, che vedendomi in uno stato di enorme dispiacere, mi disse di non piangere perché con quello che avevo fatto avevo riempito i cuori dei tifosi. Questo certo non potrò mai dimenticarlo”
E’ ripetibile una storia calcistica come quella per la città di Campobasso?
“Non credo, a prescindere dai risultati ottenuti finora, perché tanto è cambiato. Il Molise è economicamente debole e non può permettersi campionati professionistici; non c’è né la volontà né la possibilità di sostenere gli sforzi economici che il calcio adesso richiede. Faccio un esempio: il Trento passerà dalla D alla C (peraltro allenato da un ex-rossoblù) ed è corredato da 250 sponsor. Quindi fate voi i conti”.
Ma il calcio del passato era veramente tutto bello?
“Era diverso, c’era passione vera, ma, come detto prima, in alcuni casi anche troppa violenza; adesso nei tornei alla nostra portata ce ne è di meno. Parlo anche della mia esperienza da calciatore; in alcuni campi ho vissuto situazioni di grande difficoltà e più di una volta mi sono trovato chiuso negli spogliatoi con tutta la squadra accerchiata dai tifosi avversari; in una occasione il calciatore Armanetti mi ha letteralmente salvato la vita, sottraendomi alla furia violenta di chi mi voleva colpire”.
Berardo adesso è ‘fuori’ dal calcio definitivamente?
“Ho il mio lavoro che mi impegna e mi porta a girare molto, ma ho conservato tanti amici nell’ambiente calcistico, anche influenti, oltre ai ricordi di aver fatto qualcosa di bello e importante per la città”.