Ospite d’eccezione della terza edizione di “Un premio alla carriera” il Commissioner del Comitato Italiano Arbitri della FIP Luigi Lamonica, 57enne ex arbitro internazionale che ha chiuso la propria fulgida carriera nel 2016.
La pallacanestro è disciplina particolarmente incline al cambiamento dei regolamenti: come un arbitro riesce a stare al passo?
“Grazie alla tecnologia. Oggi sono talmente rapidi i cambiamenti per cercare di rendere questo sport molto più appetibile ai tifosi/appassionati. In passato, ogni quattro anni, bisognava attendere che tutte le federazioni cambiassero regolamento. Con la tecnologia moderna aspettiamo ogni anno che cambi qualcosa, a volte dettagli ma anche regole importanti che alla fine mutano anche il modo stesso di arbitrare”.
Tra le tante esperienze continentali, mondiali e olimpiche, cosa porta dentro e quale è il ricordo più bello?
“Sicuramente le Olimpiadi. Ho avuto la fortuna di farne due: Pechino e Londra ma quelle di Pechino, forse perché è un paese dove ci si va raramente, è stata un’esperienza davvero incredibile per l’aria che si respirava. Un collega mi diceva sempre: arbitri in serie A, quindi sei bravo, ma se non vai alle Olimpiadi non sei veramente completo. Gli ho dovuto dare ragione perché è un’esperienza che rimane dentro per tutta la vita”.
Come si è avvicinato al mondo degli arbitri di basket?
“Ho iniziato per caso. Mio padre era dirigente di una società di Pescara. Io e mio fratello giocavamo in questa società e ad inizio stagione si tenevano delle amichevoli. Un anno dimenticarono di fare la richiesta per avere gli arbitri ed io non ho potuto dire di no a mio padre che mi mise il fischietto in mano dicendomi “devi arbitrare”. Il secondo giorno mi notarono e mi proposero un corso…”.
Qual è il “fischio” che serba ancora dentro di sé e per quale motivo?
“Ne facciamo talmente tanti ma sicuramente quelli della finale del campionato del mondo del 2010 in Turchia nella partita proprio tra Turchia e Stati Uniti con Steph Curry e Kevin Durant ma anche alle Olimpiadi ogni partita è una festa: lì davvero l’importante è partecipare, è sempre festa e l’affronti con un altro spirito”.
Qual è la molla che fa sì che un arbitro affronti una gara dopo l’altra?
“Per continuare ad arbitrare ci vuole passione e sacrificio. Allenamento, aggiornamento e soprattutto imparare dagli errori che inevitabilmente vengono commessi in modo da non ripetersi. Ma anche la voglia di tornare ad arbitrare partite importanti che ti danno delle emozioni uniche”.
Per finire, quale è la ricetta per avvicinare i giovani al mondo arbitrale della palla a spicchi?
“Le generazioni di oggi hanno tutto, quindi bisogna incentivarle. In passato bastavano i minimi rimborsi economici ma oggi, se a 14 anni hai un telefono da mille euro, diventa tutto più difficile. Quindi dobbiamo andarli a cercare e coccolarli altrimenti alle prime difficoltà rischiamo di perderli. Purtroppo con quello che si vede sui campi e sugli spalti non è semplice mantenerli nel nostro mondo. È un problema che come Consiglio federale ci siamo riproposti di affrontare davvero di petto”.