Presentato a Venafro “Eppure”, l’ultimo libro di Amerigo Iannacone

È stato presentato sabato scorso a Venafro, a un attento e qualificato pubblico, l’ultimo libro di Amerigo Iannacone dal significativo titolo “Eppure” (Ed. Eva, Venafro 2015, pp. 64, € 9.00, ISBN 978-88-97930-61-7). Con la puntuale conduzione della Preside Vincenzina Scarabeo Di Lullo, ne hanno parlato quattro relatori, tutti scrittori/poeti: Alessandrina De Rubeis, che ha letto la relazione scritta dallo scrittore formiano Giuseppe Napolitano, che è anche il prefatore del libro, e che, assente perché influenzato, aveva fatto pervenire la sua relazione. Poi sono intervenuti Antonio Vanni, Aldo Cervo e Chiara Franchitti.

Dalla relazione, particolarmente interessante, di Napolitano estrapoliamo un breve stralcio: «eppure Amerigo (chissà se davvero Galilei pronunciò la famosa frase): è una parolina condensata di concetti diversi, allusivi e chiarissimi insieme – trattandosi poi proprio di lui. Chi lo conosce, lo sa: non la manda a dire, se ha qualche problema, se gli entra un brecciolino nella scarpa, se gli fanno uno sgarbo; può anche darsi faccia finta di porgere la guancia, ma, eppure… è pronto a rispondere, anzi a raddoppiare lo slancio.»

Aldo Cervo ha esordito: «Con Eppure credo che sia giunto il tempo di cominciare a tentare la definizione di una “poetica” nella produzione letteraria di Amerigo Iannacone, intendendosi per “poetica” quell’insieme di elementi formali e sostanziali identificativi di un autore. Ed a me sembra che tali elementi si possano riepilogare in un rigoroso “purismo” linguistico.»
Ma tutti i quattro relatori e la moderatrice Vincenzina Scarabeo hanno fatto degli interventi critici ed esegetici puntuali e profondi, non riassumibili in un articolo.
Ha concluso l’autore, che ha ringraziato pubblico e relatori, poi ha letto alcuni testi dal libro e ha concluso con la lettura di una poesia inedita con cui ha voluto fare gli auguri di Natale. La riportiamo qui di seguito.

Natale 2015

Natale era il giorno tanto atteso
Natale che sapeva – scrive Ilaria –
“di mandarino sbucciato”.
Le vacanze lunghe, la raccolta
di muschio asparagine pungitopo
per il presepe, un rito, un gioco,
un pezzo felicità.
Rinascevano ogni anno
vecchie statuine di gesso
scolorite dal tempo
qualcuna mutilata, zoppicante.
Il ceppo nel camino
e nel sagrato il falò grande
per scaldare il Bambinello.
L’immancabile lettera
di infantili promesse.
Le nostre case erano tutte
Casa Cupiello,
ma era atteso con ansia il Natale,
il Natale era bello.

Sbiaditi ricordi
ora che è fatto il Natale
di plastica colorata
al centro commerciale,
in una folle corsa
allo sperpero labile
l’albero ha bandito il presepe
Tu scendi dalle stelle
ha ceduto a Jingle bells.
Solo in una latebra celata
ornato di un po’ di nostalgia
vive ancora il Natale
di un tempo che fu.

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