“Giulia” nasce come racconto lungo, un pò incauto e irregolare, che richiede una certa pazienza e dedizione da parte del lettore per poterne penetrare l’essenza. Trova ispirazione da un personaggio storico femminile poco o niente conosciuto se non nell’ambito culturale del contesto storico partenopeo: si tratta di tale Giulia Di Marco, protagonista anche di “Io, Partenope”, ultimo romanzo, postumo, di Sebastiano Vassalli e di un inedito in versi del Prof. Maurizio Ferrante.
Nata da una famiglia di contadini a Sepino alla fine del ‘500, Giulia, dopo una maternità sicuramente precoce per la sua giovane età, a cui dovette rinunciare per le misere condizioni economiche, si trasferì a Napoli, dove prese i voti e divene suora. Qui seppe entrare nelle grazie di uomini di chiesa e accattivarsi gli ambienti della nobiltà spagnola, grazie ad una spiccata intelligenza e alla sua capacità di decifrare la storia del tempo in cui viveva. Giulia divenne prima icona di santità e poi di eresia, accusa di aver sedotto e traviato l’intera Napoli con una dottrina che intendeva elevare l’unione carnale a pratica religiosa ammessa e condivisa. Il racconto tuttavia esula completamente dalla storia centrale di Giulia, tant’è che chi legge fa difficoltà a individuarne i riferimenti storici che pure ci sono ed emergono come spilli dolorosi. Per il resto tutto è frammento: la coscienza di una donna in carcere alle prese con rimorsi e fantasmi del passato, i ricordi di una bambina fragile che aspira ad una femminilità risolutiva e potente che le permetta di affrontare l’ostilità degli uomini, per concludere con un salto in avanti nel tempo, alla fine del racconto, dove Giulia diventa una donna moderna, femmina e madre allo stesso tempo, forte e fragile, accecata dai colori della vita, che ha lottato per evitare l’aborto e tenersi il figlio, quel figlio che è là davanti a lei, in gita a Napoli, pronto a sfuggirle per un evento imponderabile, per un destino già scritto o semplicemente perchè la vita è così: un cerchio che non si chiude, un desiderio che non si completa.
Dopo due menzioni d’onore nelle edizioni 2012 e 2013 al Premio Letterario “Le Streghe di Montecchio”, l’autore si è classificato secondo alla terza edizione del premio con questo racconto. La motivazione: “una scrittura ricca, abbondante, colorata, a tratti poetica, in cui si inseriscono con equilibrio anche dialoghi e flussi di coscienza, cosa non facile in un racconto breve. Tutto al servizio di un evento imprevedibile che attraversa cinque secoli”.
Antonio Tammaro è nato a Campobasso nel ’69, vive e lavora a Sepino. Appassionato di storia locale, ha pubblicato una guida agli scavi archeologici di Saepinum Altilia, dal titolo “Alla scoperta della città dissepolta”. Ala ma poesia, la musica e la scrittura ed è alla ricerca del mistero in tutte le sue forme vitali. E’ Presidente di Officina Creativa.
Sepino, 24 settembre
Sala Santo Stefano, ore 17.30
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