Se esiste, ed esiste, una colonna sonora del Molise, questa non può non coincidere con il gruppo musicale de Il Tratturo! E chi altri sennò! Basterebbe mettere insieme voci, note, strumenti e testi per capire che nulla può paragonarsi alla simbiosi tra storia, arte, passione e rappresentazione messa in scena da trent’anni dai musici de Il Tratturo,paragonabile solo agli andamenti di seni e coseni delle linee per orizzonti delregale paesaggio nostrano. Seni, appunto, di dolce memoria ancestrale ed attuale, come quelli di una mamma o madonna alle prese con lupini amari e traditori, che allatta il suo piccolo, idealmente e facilmente accostabili al piano e alle colline del Molise litoraneo e ai montifreschi, freddi e innevati, non facilmente paragonabili, come il Matese e le Mainarde.
E Piero, Enzo, Nicola, Alfonso, Mauro e Robertoda trent’anni accarezzano delicatamente le nostre meravigliose bellezze ambientali, culturali e paesaggistiche, come se fossero in costante pericolo di estinzione! E come dargli torto! Ma loro ci ricordano in modo martellante che Matese e Mainarde hanno in sé l’espressione dei seni delle nostre mamme, dalle quali abbiamo attinto linfa vitale, come vitali sono le acque dei fiumi che scorrono nelle nostre vene, acqua silenziosa ma il cui suono è percepibile nelle note e nei suoni di strumenti allineati su tracciati di rara e unica bellezza. E così il loro nome, tacciato di vecchiume all’inizio della loro storia, già inversamente avanti rispetto alle innovazioni per forza e ad ogni costo dettate dalla modernità sempre e maldestramente di moda. Tratturo, vie di transumanza, di percorsi per greggi e per uomini, tracciati di preistorica memoria, antica, fatta di genti umili che agognano quotidianamente e malinconicamente il ritorno, di orme di zampitti, di pecore, di cani, di cavalli, di buoi, testimonianza ancora visibile di sorgenti, stazzi, recinti, chiese, taverne, questa sì modernità più volte ripresa,pari a null’altro! Autostrade non paragonabili, larghe linee appoggiate su suoli dolci o anche aspri che nulla hanno da spartire con lingue d’asfalto che ci minacciano all’orizzonte! Quale modernità allora più attuale di quella indicata dai nostri musici all’inizio delle loro passioni, passioni giovanili che quasi sempre non lasciano spazio alla memoria, alle tradizioni, ai lasciti dei nostri avi, alla conservazione del bello così come natura detta, presi dalle mode e dalle passioni dettate dall’età. Eppure questi nostri amici, pur conservando le pulsioni giovanili, hanno saputo mungere, attingere dal passato, facendo volare alto il suono di strumenti, che diversamente potevano andare scomparsi come accade per i lupi e gli orsi del Parco di Abruzzo, Lazio e Molise, pelli e cannule sapientemente forgiate nel passato e amorevolmente riprese da mani moderne, antiche zampogne e ciaramelle già usate dai pastori dei tratturi nella notte di tempi, attuali veicoli di suoni per moderne melodie di ancestrale sensibilità. E se la modernità ci ha imposto chitarre, pianole e batterie, i nostri appassionati artisti sono riusciti nel matrimonio più complesso, quello che ai tamburelli affianca tamburi e piatti, ai mandolini accosta chitarre e bassi, quello che alle corali appoggia tastiere bianche e nere. Nicola si è espresso con “cortesia”, ha vibrato le corde, ha fuso mandole partenopee e corde da beat generation senza stravolgere le sonorità, preso e immerso nel suo creare il nuovo, nel rispetto dell’antico e dell’antica vecchia “curacchiera”. Alfonso da gattone qual è, si è limitato a mormorare cupamente con le corde a sua disposizionegli accompagnamenti, come fossero le buie notti dei pastori sul tratturo, buie, quasi silenziose ma indispensabilmente percepite e presenti. Enzo, in piedi come si conviene ai cavalli dei transumanti, ha reso fluidi i suoni, li ha miscelati da cultore sensibile, da scolaro che attinge a maestri di progressivo mai dimenticati, troppo emozionato per far trapelare la sua vivacità ma concentrato al punto da non dimenticare di avere sotto le dita tasti e non mammelle da mungere per cagliare il formaggio per i pastori, concentrato nell’applicazione della medesima delicatezza. E poi, quando devi gridare alle greggi e ai cani la strada da seguire, lo devi fare con decisione, con amore, con sonorità che tutti possono comprendere e l’ugola di Mauro non si è lasciata tradire, intonare acuti come spari di briganti o melodie lungo i Vicoli o tarantelle per il ristoro faticoso lungo il cammino che porta dai monti verso il mare. Ma certamente la parte più ardua è stata quella di Roberto e non solo perché il suo percorso si è intrecciato con quello degli altri solo successivamente, ma soprattutto per lo strumento ingombrante e variegato che sarebbe stato non proprio pratico da portarsi appresso sugli antichi tracciati! Poco paragonabile al tamburello, almeno per ingombro, poco pratico da attaccare al collo, nient’affatto silenzioso, insomma difficile il suo matrimonio con tutto il resto! Eppure il nuovo entrato è stato capace di accarezzare tamburi e gran casse come un pastore fa con le sue pecore quando deve tosarle, con delicatezza e decisione al tempo stesso, ha vibrato teneri colpi con le bacchette sui piatti dorati, facendoli ondulare ed emettere scintillii provocati dalle luci di Diego,come stelle nei cieli estivi nelle notti a ritemprare gli uomini dopo la lunga e faticosa giornata assolata pronti ad assaporare la pezzata di Irinella, ha messo con sensibilità non comune il suo talento a servizio dei suoni che gli altri da tempo portavano in scena e che vedevano con sospetto il nuovo ingresso “rumoroso”, dimenticandoche l’animo rispettoso e capace di Roberto avrebbe abbattuto ogni loro riserva! E che prova! L’amore comune per la tradizione non ha lasciato spazio ad iniziative artistiche non in sintonia, i suoni tutti erano fusi senza sbavature stridenti. Ma se mai sarebbe potuta accadere una oscenità simile, il pastore abruzzese per eccellenza, il bianco controllore di greggi, il sapiente e diligente dirottatore di ovini fuori rotta, con la sua zampogna fatata avrebbe riportato all’ovile tutti i suoi sodali. Troppo forte il suo sentire e la sua concentrazione di giovanile memoria, affascinante capacità di mettere insieme suoni, passioni, amore, rispetto, umiltà, abilità a servizio di un’arte ancora tutta da interpretare. Ma Piero è capace di questo ed altro, lui sì coperto di pelli e mantello, nascosto sotto un cappellaccio di lana nero, pastore di pecore e musici, con la stessa maestria conduce animali e uomini a sostenere melodie che all’unisono devono portare l’ascoltatore ad inebriarsi ed ubriacarsi delle note provenienti da svariati strumenti, diversi tra loro ma imbrigliati dal conducente fino al morbido connubio che la musica colta e popolare insieme richiedono. E sono costretti al rispetto anche ciaramelle, fisarmoniche, flauti magici e qualsiasi altra diavoleria tirata fuori dalla sacca, persino lo xilofono “maldestramente” introdotto da Mauro ma anch’esso entrato nella sintonia richiesta, a rischio di ringhiate del maestro ma generosamente accettate!E mentre Angelo, vecchio, irascibile, minuto compagno di tanti concerti portati in giro per il mondo, in fondo alla sala ascoltava con emozione soffocata per non tradire il burbero (ma chi ci crede!) personaggio, tanti compagni accorsi, così come per le altre riproposizioni trentennali, a stento sono riusciti a battere le mani sui ritmi dei suoni delle cicirinelle o delle sei sorelle, tanto erano assorti e presi da questi amici, attori e interpreti di una storia mai dimenticata, millenaria e sempre attuale, canovaccio tessuto sopra una terra che non permetteva ingerenze fuori luogo, terra solo assalita da predatori senza scrupoli, vigliaccamente depredata e offesa, ferita ma non ammazzata, ma che sarà sempre protetta e amata da chi le sue sorti e la sua identità tiene a cuore. Musici come pastori, artisti che conducono le note al riparo nell’animo così come il pastore conduce il suo gregge nella stalla al riparo dai lupi! Lo spettacolo dei sentimenti e dell’arte volge al termine ma nessuno ne vuole sapere di rientrare alle proprie case, la sensazione è che in serate come queste sarebbe molto meglio poter continuare a rimanere insieme per ascoltare note, sinfonie dolci, vivaci, morbide, coinvolgenti, amorevoli, antiche ma sempre buone per sentirsi un unico corpo granitico, forte agli attacchi avversi, al riparo di una modernità che ci vede isolati, tristi, abbandonati, protagonisti nella desolazione di un mondo che non concede ninne nanne di sorta, che possano somigliare almeno per un attimo alle amorevoli carezze delle mamme o ai suoni affascinanti e calorosi del vecchio intramontabile TRATTURO!Que viva siempre!
Un solo e ultimo pensiero al rientro va verso altri amici, , con la speranza di vederli quanto prima ancora al fianco degli altri, Ivana e Lino, anch’essi appassionati musici e raccontatori di leggende estorie magiche.
Emilio Izzo