Il 21 maggio dalle ore 17.00 nell’atrio del Palazzo Magno, via Roma 47, verrà inaugurata la mostra fotografica “Dipingere con la luce”, a cura del critico d’arte Tommaso Evangelista e del fotografo Luigi Grassi . L’evento nasce da un percorso didattico legato al mondo della cultura delle immagini tenuto dallo stesso Luigi Grassi. Gli allievi, Chiara Brunetti, Carmine Cefaratti, Rossana Centracchio, Cristiano Civerra, Carmen Giancola e Lello Muzio, hanno avuto modo non solo di conoscere e sperimentare le proprietà dei materiali sensibili alla luce e di approcciarsi allo sviluppo fotografico, ma soprattutto di scoprire i molteplici lineamenti e cromie del linguaggio fotografico. Ognuno degli allievi ha fatto della propria esperienza in camera oscura un percorso interpretativo della forma degli oggetti che si rivelano nelle opere in eterogenee tonalità. La creatività e la fantasia sono gli unici comuni denominatori di queste opere, che verranno esposte dal 21 maggio sino al 7 giugno, orari per le visite: dal lunedì al venerdì dalle ore 9.00 alle 19.00.
UN LABORATORIO NECESSARIO di Luigi Grassi
Un laboratorio in cui abbandonare la macchina fotografica e lavorare direttamente sulla carta fotosensibile con la luce. Lavorare con le forme astratte, geometriche, primarie significa entrare in contatto con la propria soggettività. A volte lo strumento fotografico, per il principiante assoluto, può inibire o bloccare l’acquisizione di un personale linguaggio fotografico e assopire le capacità critiche rispetto al mondo delle immagini e a quelle che si vanno producendo. Credo fortemente che la camera oscura e un percorso di fotografia sperimentale siano una disciplina efficace per acquisire una consapevolezza superiore o semplicemente diversa riguardo alle idee della fotografia e ai progetti che si vogliono sviluppare attraverso questa materia. In questo primo esperimento didattico gli studenti hanno avuto la possibilità di entrare in contatto con il mondo della fotografia attraverso la manipolazione diretta dei materiali fotografici, hanno compreso i rudimenti che sono alla base dell’uso della macchina fotografica e hanno applicato una metodologia progettuale legata alle immagini da realizzare. Sono felice e orgoglioso di poter presentare in questa occasione i risultati del corso di fotografia “Dipingere con la luce”.
IMMAGINI PER PASSAGGI di Rossana Centracchio
“Dipingere con la luce”: una definizione semplice ed essenziale, ma che racchiude in sé le molteplici interpretazioni dell’arte fotografica. Dipingere non è altro che rappresentare, con intenzione, un oggetto reale o immaginario su una qualsiasi superficie per mezzo di colori. Noi, al posto dei colori, abbiamo utilizzato la luce, giocando con essa fino a creare contorni e ombre sulla carta che hanno dato vita a forme e a immagini, a “organismi viventi”. Non si tratta però di mostrare la mera struttura interna degli oggetti, ma di ricercare una natura “altra”, non sempre governabile dalla nostra razionalità. Ed è questo l’aspetto più interessante del nostro laboratorio: la scoperta inattesa, l’improvvisa rivelazione di immagini e figure. Sia l’intenzione, ovvero l’atto, con cui tendiamo verso un oggetto, sia l’immagine o forma dell’oggetto da noi conosciuto non corrispondono così all’idea inizialmente elaborata. Il laboratorio è anche ricerca essenziale dei costituenti fondamentali di un oggetto e della loro interazione.In questo modo la fotografia diventa strumento di indagine dei materiali e sui materiali, in grado di allontanarci dalle presunte analogie con l’esperienza quotidiana. Impressionare sulla carta, dunque, la materialità per considerare le modalità di creazione, ma anche di alterazione, del significato di una immagine. Ed è qui che entra in gioco il ruolo fondamentale del tempo, il quale diventa la rappresentazione concreta dei singoli momenti che costituiscono il processo di elaborazione dell’immagine fotografica. “Dipingere con la luce” non è altro che una esperienza spontanea e ricca di entusiasmo di fronte al tentativo di conoscere ciò che si pone al di là della nostra visione fotografica.
IMPRESSIONI PER CONTATTO di Tommaso Evangelista
Edouard Isidore Buguet, fotografo francese dell’Ottocento appartenente al movimento spiritualista, era famoso a Montmartre per la sua abilità nel far apparire in una fotografia lo spettro o il fantasma della persona cara al cliente che si recava da lui per una sorta di ritratto post-mortem. Arrestato nel 1875, la polizia scoprì che introduceva nella macchina fotografica delle lastre già impressionate con forme, figure e scritte che dovevano apparire sulla fotografia finale. Il fotografo però si poneva come medium cercando di evocare l’immagine. In fondo dipingeva con la luce, o meglio la richiamava nei filtri, dato che i suoi scatti, oggi, ci appaiono delle singolari invenzioni surrealiste, prive di quel fascino macabro che aveva colpito ingenuamente i parigini. La fotografia è un medium, anch’essa, oscuro ed enigmatico, tanto più ermetico e suggestivo quanto più torna indietro alle tecniche e ai processi antichi di stampa, nelle quali il gioco individuale sulla matericità delle forme si confonde con la tensione della scoperta. Ma la distanza con queste ricerche sta nella luce che crea contorni e distrugge le forme. Se le cronofotografie di Muybridge rivelavano chiaramente, come disse Degas, gli errori in cui sono incorsi tutti gli scultori e i pittori mostrando, all’occhio umano che confonde, l’autenticità del movimento, l’impressione della luce per ottenere l’impronta chimica di una immagine va esattamente nella ricerca opposta che individua nella rappresentazione personale e manuale l’interazione con il soggetto. Si fotografa non per oggettivare ma per vedere che aspetto avrà l’oggetto fotografato come se la realtà della lastra fosse altra dalla realtà fenomenica. La luce è, in fondo, un oggetto malinconico che smaterializza il corpo trasfigurando la visione che diventa, veramente, processo di evocazione “spiritica” delle forme. Forse l’attività “esoterica” di Buguet ci comunica molto più dell’impressione fotosensibile delle idee che della possibilità di evocare, in foto, i morti. Una lastra, del resto, rimane pur sempre il tentativo di impossessarsi dell’anima delle cose. (foto Primavera di Fiori Chimici, Chiara Brunetti)