Contravvenendo ai canoni che ci vedono presenti sulle pagine di questo sito con argomenti che riguardano l’Europa, politica e cultura che, i cosiddetti perbenisti ben pensanti che ammorbano il Molise giudicano noiosi ma necessari, aggiungiamo noi, se si vuol rimanere in corsa, visto che il Molise è fuori dai circuiti che contano: vorremo porvi una domanda, forse strana. Una domanda che esula dalle solite che si pongono: cosa rimane del mondo degli impressionisti?
Gli esperti e gli appassionati della materia sicuramente risponderebbero molto; poiché i capolavori di questi grandi maestri che operarono e vissero a fine ottocento ed inizio novecento si possono ammirare in moltissime gallerie e musei sparsi nel mondo. Quadri, cartelloni, disegni, prove d’autore e specchi che rappresentano uno spaccato di vita non sempre accettabile, visto come fu vissuta che, invece sono la personificazione di un qualcosa che lo stereotipato mondo attuale non accetterebbe, perché non ne consentirebbe la comprensione; eppure c’è ed è ben visibile. Una dimostrazione, in cui le stranezze sono la prova incontrovertibile che l’essere umano, anche se indigente, e loro lo erano per propria scelta, è capace di creare dando spazio all’estro anche se questo entra in antitesi con le regole della società. Concretezze giudicate azzardate e alcune volte bislacche per i temi che ritraevano che, nonostante sono passati oltre duecento anni, ti permette di venire in contatto con una realtà in cui molti vorrebbero vivere perché scevra da regole. Concretezze che ti mettono, come se si guardasse in uno specchio, dinanzi all’uomo, non come cosa ma come entità. Un confronto con se stessi.
Un confronto che, nei capolavori di Renoir, Monet, Cezanne, Toulouse Lautrec, Gogain, Pizarro, Utrillo, Modigliani, Sisley, Van Gogh, tanto per citare alcuni tra i grandi artisti, si può realizzare specialmente, quando si passeggia lungo le stradine di Montmartre in cui questi maestri vissero e crearono nonostante i loro drammi personali. Un luogo in cui, si può respirare l’aria della stravaganza, anche se ora è assoggettata per esigenze prettamente commerciali a quello che è la legge del “dio denaro” che offusca gli ideali con cui il movimento pittorico nacque e che, nonostante tutto, ci parla ancora. Un luogo in cui l’affastellarsi di colori, sapori e profumi, permette a chi guarda le riproduzioni dei capolavori messi in bella mostra sui cavalletti e nelle botteghe d’arte disseminate lungo il percorso che culmina con la chiesa del Sacro Cuore da un lato e con la piazzetta dei pittori dall’altra, di immedesimarsi nell’animo di chi rifiutò una realtà troppo “bacchettona” ma anche corrotta e spregiudicata preferì rifugiarsi nell’inconsueto e nel proibito come: droga, alcool, bordelli, circhi e bistrò. Mondi da dove presero spunto e nacquero veri e propri capolavori che, per pochi franchi, per un piatto di minestra calda o una tazza di caffè, furono “venduti” a chi aveva capito il significato e l’importanza dell’opera. Mondi in cui i figli giudicati reietti da una società medio-borghese, se non addirittura aristocratica, pur di sfuggire a quello che stava loro più stretto, si rifugiarono per vivere nella povertà ma al sicuro, protetti da ciò che è ancora simbolo di libertà “la Boheme”.
Un mondo in cui il consueto dava e da spazio al desueto. Sensazione che tuttora avvolge e dove se si chiudono gli occhi permette di immergersi in una dimensione parallela. Un luogo dove si è fermato il tempo e lo scorrere delle ore, agevola la comprensione di una realtà a se stante. Ecco perché gli impressionisti “sbatterono la porta in faccia al normale” che, allora come oggi, regola tutto e tutti e condanna a vivere all’insegna degli status symbol cui molti, anzi moltissimi non sanno rinunciare.
Massimo Dalla Torre