Parla Carmine Vasile, Segretario regionale FialsA seguito dell’incontro tenutosi il 9 agosto tra tutte le sigle sindacali ed i rappresentanti della Fondazione di Ricerca Giovanni Paolo II, è pervenuta la proposta dell’azienda. Le sigle sindacali riunitesi il 20 agosto hanno unanimamente deciso di respingere in toto tale proposta, queste in breve le motivazioni: i sindacati riconoscono come unico accordo condivisibile quello sottoscritto il 29 aprile, avallato anche dal referendum dei lavoratori e discusso anche in sede di Giunta regionale. La nostra attenzione in merito ai licenziamenti, in questo caso della Fondazione, ma ci stiamo occupando anche delle problematiche di altre aziende molisane, resta alta. Abbiamo incontrato Carmine Vasile, Segretario regionale Fials, con il quale abbiamo cercato di fare il punto della situazione.
Segretario Vasile, partirei con il ricordare l’incipit delle problematiche relative ai dipendenti avutesi con la ex Cattolica, oggi Fondazione.
“Bene, in effetti bisogna andare a ritroso negli anni. Già nel 2010 diedi i primi segnali d’allarme e sollecitai l’intervento delle Istituzioni, con un documento articolato, in quanto mi accorsi che si innestava una sorta di declino. Nel 2010 i dipendenti erano oltre 500 unità, tra cui 100 a tempo determinato. Le dico questo perchè già abbiamo perso, in termini occupazionali quei 100 lavoratori a tempo determinato a cui non è stato rinnovato il contratto”.
Parliamo della ex Cattolica, ma c’è lo stesso problema anche per la sanità pubblica.
“Esattamente. Per la sanità pubblica la percentuale di chi ha perso il lavoro è maggiore. I dipendenti si attestavano oltre i 4200, tra tempo determinato e indeterminato, attualmente si sono persi oltre 600, dal 2008 in poi, esattamente dalla firma del primo decreto del Piano di rientro sanitario. Per non riformare, riorganizzare e riconvertire, stiamo rischiando di chiudere tutto. Non ultimo il caos che si è detrrminato nel Pronto Soccorso del Cardarelli, l’ospedale è fatiscente, sono state individuate delle risorse per poterlo “aggiustare” ma ben si è pensato di utilizzare fondi per fare due rotonde, ma questa è un’altra storia…”.
Ritorniamo alla Fondazione, oltre alle 100 unità già perse, a rischiare il posto di lavoro sono ulteriori 45 dipendenti.
“Si, ci terrei a precisare che mentre non ha fatto scalpore prima la notizia, oggi le 45 unità sono assunte a tempo indeterminato e sono in ruolo dall’apertura della struttura. Quando si ha un lavoro a tempo indeterminato si fanno progetti, si mette su famiglia, si fanno mutui, ci sono casi in cui moglie e marito rischiano di perdere il posto di lavoro, deve essere necessariamente trovata una soluzione. La politica, che in questa vicenda ha la “regia” deve insistere perchè deve essere messa in campo ogni soluzione possibile, penso agli ammortizzatori sociali per esempio, per salvare i posti di lavoro”.
Una soluzione era stata proposta ed accettata dagli stessi lavoratori: “la solidarietà a restituzione” che in un primo momento sembrava potesse piacere un pò a tutti.
“In effetti è così. Era stato fatto un accordo, condiviso dai lavoratori con il referendum, la Fondazione non può dire che l’accordo deve essere necessariamnete sottoscritto dalla Regione, che comunque ha validato in un incontro tenutosi, questo è un ripensamento e viene chiamata in causa la Regione. Seppure l’accordo veniva firmato dal Presidente Frattura, cosa sarebbe cambiato? La legge 223 del 91 non prevede la firma di un terzo soggetto, prevede l’accordo tra la parte datoriale e i sindacati, che si auspicavano un sigillo dal Governatore, ma non era una necessità. L’accordo noi sindacati lo riteniamo valido, tant’è che se l’azienda continua ad insistere con i licenziamenti, sarà motivo di contenzioso legale. C’è da dire che il comportamento della Fondazione è anomalo, se la struttura sanitaria è nata con un ruolo allora mi chiedo perchè continuare a far fuggire medici ed altro personale? Servono progetti per il futuro, che la momento sembrano assenti. Di fronte all’incertezza, medici professionisti vanno via, iniziano i licenziamenti, pian piano il contenitore si svuota, allora qual è la reale intenzione? E’ quella di chiudere? Ci si dica subito, senza altri indugi, si scoprano le carte”.
Segretario, da un pò di tempo si parla anche della “Cittadella della Salute” e di integrazione, cosa pensa a riguardo?
“Queste sono proposte che sta facendo la Regione ma non possono soddisfare i sindacati e le spiego perchè. Non sono previsti i termini dell’integrazione e non sono previste nemmeno le modalità di passaggio di dipendenti dal privato al pubblico, mi creda non è una cosa così semplice, si può avviare un processo, questo si, ma deve essere sottoscritto anche dal Governo nazionale, tramite anche i piani di stabilizzazione del personale della Pubblica Amministrazione. Si deve fare un piano condiviso. Visto il caos che si è generato all’Asrem, il timore è che si perda troppo tempo dietro la burocrazia e si finisca per non trovare alcuna soluzione. Per non riorganizzare e dotare di specializzazione le strutture ricominceranno i viaggi della speranza dei cittadini molisani, che comunque pagano più accise ed a fronte di una spesa maggiore non abbiamo una risposta maggiore nè servizia deguati. Credo che allos tato attuale delle cose vada spronata la Fondazione a ritornare al ruolo per cui era stata chiamata, ossia offrire servizi che non aveva la sanità pubblica. Se necessario bisogna prevedere anche una Commissione d’Inchiesta perchè ognuno torni a fare ciò che gli era stato prescritto”.
Scusi Segretario ma le Fondazioni non ricevono fondi dal Ministero?
“L’intenzione era quella di accreditarsi come IRCCS, le premesse per ottenere fondi erano quelle di arrivare entro tre anni a parità di bilancio e l’individuazione di un settore specifico, che poteva essere la medicina di genere, la medicina della donna, l’oncologia, per esempio. Ma anche la ricerca sembra aver avuto una battuta d’arresto. Al di là del fatto che è sconosciuta anche la specialità che dovrebbe contraddistinguere la Fondazione”.
Quindi in conlusione cosa possiamo dire?
“Questo mio intervento non ha alcuno scopo di polemizzare, c’è la preoccupazione per la sorte dei 45 lavoratori. La riorganizzazione della sanità nella regione Molise non può essere più rimandata perchè nonostante le professionalità di personale medico e personale non medico ancora tantissima gente si cura fuori dalla nostra regione. I cittadini a seguito della mancata riorganizzazione ci rimettono due volte: uno perchè sopportano le accise più alte d’italia per estinguere i debiti fatti dai precedenti governi regionali, due perchè cionostante devono fare i viaggi della speranza fuori regione per trovare riposte ai bisogni di salute; non a caso la mobilità passiva di circa 60 milioni di euro. E’necessario specializzare gli ospedali che rimarranno in vita, riammodernarli, prevedere investimenti per rinnovare le attrezzature, dopo la riorganizzazione è necessario potenziare un sistema a rete per dare attuazione all’assistenza sul territorio”.
Mariateresa Di Lallo