Debiti della Pubblica Amministrazione. Acem: noi non ci stiamo

acemNoi imprese molisane iscritte all’ACEM con  profondo dispiacere siamo costrette a denunciare una situazione non più sostenibile.I lavori affidatici dalla Pubblica Amministrazione vengono regolarmente eseguiti.Consegniamo ad uno Stato che non lo merita opere compiute e per ringraziamento riceviamo una “cambiale” senza scadenza e senza valore quale ricompensa del nostro credito.Il ritardo nel pagamento da parte dell’Amministrazione Pubblica determina un grave danno all’impresa: mette quest’ultima sia nella impossibilità di poter eseguire i lavori  per i quali è richiesto un impegno economico notevole (acquisto di materie prime, etc), sia nella impossibilità di poter programmare non tanto il futuro ma la propria stessa esistenza, senza la  certezza di vedersi corrisposto nei tempi di legge quanto dovuto.

In questo momento non basta più solo chiedere alla P.A. quanto spettante,  ma occorre chiudere i pochi cantieri. I Governi politici e tecnici che si sono succeduti non sono stati in grado di risolvere il problema (la Banca d’Italia determina il debito in 91 miliardi a tutto il 2012), non sono stati in grado di garantire il soddisfacimento di un diritto sacrosanto e di ridare dignità al lavoro, hanno solo sostanzialmente  decretato la morte di uno Stato civile.  Se uno Stato  non onora i suoi impegni forse Stato non lo è più.
La casta, la vera casta, ovvero quella pletora di alti dirigenti e funzionari della Pubblica Amministrazione che altro non fa che mettere in atto procedimenti così contorti e così farraginosi, forse per dare solo un senso allo spropositato stipendio che percepisce, ha creato un unico risultato: un “mostro” di burocrazia, un lungo e snervante iter, non necessario per una cosa molto semplice, una cosa che qualsiasi cittadino nella vita normale sa: ossia che quando si compra qualcosa la si deve pagare subito. L’inefficienza della Pubblica Amministrazione, i suoi apparati elefantiaci, costosi  e spesso inutili, i suoi ritardi non possono essere un costo per le aziende; lo Stato non può più chiedere agli imprenditori di avere pazienza.  Siamo noi stanchi della loro incapacità.
Il nostro è un grido di dolore, è  l’ennesimo tentativo di rompere il muro di sordità che ci circonda.  Una classe politica e dirigenziale che non dà riscontro in termini concreti alle giuste pretese delle imprese, che gioca allo sport più famoso in Italia lo “scaricabarile”, è moralmente responsabile non solo del nostro fallimento ma anche del futuro di tanti,  tanti nostri collaboratori, non semplici operai, ai quali senza avere il coraggio di guardarli negli occhi dovremo consegnare la lettera di licenziamento.
Noi non abbiamo più la forza per andare avanti, i nostri operai sono parte delle nostre famiglie a cui dobbiamo chiedere di restare a casa, dobbiamo dir loro che non siamo più in grado di garantire il salario, quel poco e sudato salario che per molti tecnocrati e politici è poco più di un caffè.   Il collasso delle imprese determinerà il blocco del sistema Paese, un drammatico precipizio dell’economia per il quale non ha più motivo di esistere una costosa casta al di sopra di ogni cosa.      Allora, come diceva Antonio De Curtis, in arte Totò, la livella non sarà post morte ma in vita!  Noi non vogliamo chiudere  per decreti legge, non vogliamo morire per burocrazia, ma fallire solo se siamo incapaci.  
Noi non ci stiamo!
Noi non siamo più disposti a subire!
Noi  siamo persone serie!
ACEM

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