L’adozione di criteri “presuntivi” e non dalla reale quantità di rifiuti prodotti comporterà incrementi ingiustificati dei costi della tassa sui rifiuti. Sta di fatto che la nuova tassa sui rifiuti si tradurrà, per gli esercizi commerciali, in un aumento dei costi fino ad oltre il 600%. In effetti, con il passaggio dalla TARSU alla TARI, la nuova tariffa sui rifiuti, nel 2014 l’incremento medio dei costi per il servizio urbano dei rifiuti sarà di circa il 300% e, per alcune tipologie di impresa, sarà ancora più salato: per un bar, infatti, l’aumento sarà di oltre il 300%, fino ad arrivare ad una maggiorazione di circa sei volte per un ristorante (+480%) e, addirittura, di quasi otto volte per un negozio di ortofrutta (+650%) o una discoteca (+680%).
Questi incrementi non solo non sono giustificati ma sono di una consistenza tale da determinare una “pesante penalizzazione” per il “sistema delle imprese” non solo della distribuzione ma anche dei servizi e del terziario più in generale; gli stessi incrementi, poi, hanno il “sapore dell’assurdo” ( in quanto fuori da ogni logica) in quanto derivano, fondamentalmente, dall’adozione di “criteri presuntivi e potenziali” e non dalla reale quantità di rifiuti prodotti. A nostro modo di vedere vi è tutta la necessità di rivedere, al più presto, la “struttura del sistema di prelievo” sulla base del principio che “chi inquina paga”, ridefinendo con maggiore oculatezza e precisione le “voci di costo ed i relativi coefficienti”: A titolo esemplificativo possiamo rappresentare come si renda necessario – a nostro avviso – una netta distinzione tra “utenze domestiche” ed “utenze non domestiche”, così come occorre tenere conto degli aspetti riguardanti la “stagionalità di alcune attività economiche”, per le quali non è pensabile l’applicazione di una tariffa “unica” per tutto l’anno. In questa disamina delle componenti e caratteristiche della “tassa sui rifiuti” occorre avere presente che la “legge di stabilità” ha istituito un nuovo tributo sui servizi comunali, denominato TRISE. Detto tributo si articola in due distinte componenti: la prima è denominata TARI ed è relativa alla copertura dei costi del servizio di gestione dei rifiuti urbani; la seconda, denominata TASI, ed è relativa alla copertura dei costi dei servizi indivisibili dei comuni. La struttura della Tari, riflette quasi totalmente la precedente formulazione della TARES e, quindi, della vecchia TIA, in quanto ripropone tariffe determinate sulla base di coefficienti di produzione potenziali e non sui reali quantitativi di rifiuti prodotti. Rileviamo, ancora una volta, che ciò che manca è la volontà di instaurare un legame diretto tra produzione di rifiuto e spesa, secondo il principio voluto ed affermato dalla stessa Comunità Europea, principio per il quale ” chi inquina paga”. In sostanza si può affermare che il mantenimento dei vecchi criteri di produzione presuntiva non solo rischiano di tradursi in condizioni di costo estremamente diversificate sul territorio a parità di attività economica, ma ripresentano tutte le criticità e i limiti che i precedenti regimi di prelievo hanno mostrato . Infatti, nei Comuni dove è stato operato il passaggio dalla TARSU alla TIA, si è assistito ad aumenti tariffari medi del 200%, generati non tanto da un incremento della quantità dei rifiuti prodotti ma, più semplicemente, da una non adeguata determinazione dei coefficienti potenziali di produzione. Come dicevamo in apertura di questo articolo, il passaggio dalla TARSU alla TARI, l’incremento dei costi della tariffa sui rifiuti, a decorrere dal 2014, sarà di circa il 300% e per alcune tipologie di impresa sarà ancora più elevato: a titolo esemplificativo – secondo studi e previsioni fatte da addetti ai lavori – la “maggiorazione sarà di circa sei volte per un ristorante e quasi di otto volte per un negozio di ortofrutta, mentre una discoteca dovrà pagare un tributo aumentato del 680%. Sono i criteri “presuntivi e potenziali” – come dicevamo – che non solo non ci convincono , ma che , forse, sono anche “illegittimi”, criteri che porteranno alla determinazione delle tariffe e per i quali i singoli operatori “non pagheranno per le quantità di rifiuti prodotti ma per quanti si presume ne produrranno”: è un assurdo. L’assurdità è collegata non solo alla “riconosciuta” impossibilità o “incapacità” di “calcolare”, o “accertare” e, quindi, “giochi ad azzeccare le previsioni”! Ma anche al fatto che, in presenza di un conclamato e consolidato calo dei consumi e di “giro di affari” non solo non si fa calare la “gabella della spazzatura” ma la si aumenta in maniera “sconsiderata”. Di questo passa diventa sempre più difficile auspicare una ripresa ed un rilancio dell’economia e del Paese.
Luigi Zappone