E’ di stretta attualità il problema dell’affollamento delle carceri italiane. La comunità Europea ha più volte rimarcato la questione, sollecitando con forza interventi normativi da parte dello Stato italiano che possano migliorare una situazione di sovraffollamento che si traduce in condizioni di detenzione indegne di un paese civile, perchè connotate da precarietà delle condizioni di vita infra muraria. Detenuti in gran numero, strutture per lo più inadeguate, tagli che colpiscono il settore in modo indiscriminato con inevitabili disservizi e carenze organizzative di ogni tipo. Si pensi che in molti casi i detenuti si autotassano per approvvigionarsi di generi di primissima necessità.
In questo quadro, viene da pensare alla posizione di avanguardia che il nostro Paese aveva alcuni decenni fa, ed in particolare negli anni che visto l’entrata in vigore dell’Ordinamento Penitenziario, una legge del 1975 che prevede, oltre a principi di notevolissimo pregio e avanzata cultura giuridica poiché attinenti alla necessità di assicurare al detenuto un trattamento umano, corretto e teso alla sua riabilitazione, anche una serie di istituti giuridici aventi lo scopo di favorire il reinserimento sociale del condannato, attraverso il suo graduale reinserimento sotto il controllo dei servizi sociali e di strutture di sostegno. Si tratta di una legge che segue il solco costituzionale italiano, secondo il quale la pena deve tendere alla rieducazione del condannato.
Sul piano dottrinario, e sempre in tale ottica, il legislatore ha sposato le teorie che vedono il periodo di privazione della libertà come occasione di crescita umana e culturale per il detenuto, invece di quelle che individuano nella pena uno strumento meramente punitivo. Purtroppo, oggi appare paradossale e amaro dover constatare che dopo avere emanato norme che costituivano punto di riferimento anche per ordinamenti di altri paesi, proprio l’Italia oggi sia una sorvegliata speciale a causa della problematica gestione delle carceri. Duole dover constatare, anche in questo campo, l’aver imboccato una strada verso il declino che non era affatto prevedibile quando il nostro paese costituiva un esempio da imitare sul piano degli istituti alternativi alla detenzione.
Comunque, al di là dei problemi organizzativi e di gestione degli istituti penitenziari, l’Ordinamento Penitenziario italiano resta comunque una buona legge, ancora avanzata e condivisibile, anche se le disfunzioni organizzative e le lentezze burocratiche ne vanificano in parte i buoni principi, e ciò nonostante la buona volontà degli operatori penitenziari. Solo, i più recenti interventi modificativi dell’Ordinamento, che sono stati emanati sotto la spinta dell’avvertita necessità di dare impulso alla possibilità di usufruire di istituti alternativi alla detenzione, hanno risentito del nostro sistema politico, sempre più confuso, pasticcione e frettoloso, e sono risultati del tutto inadeguati alla risoluzione dei problemi.
I tantissimi provvedimenti “svuota carceri” che si sono susseguiti negli ultimi anni hanno dato l’impressione di voler “stiracchiare” gli istituti previsti dall’Ordinamento, allo scopo dichiarato di favorire l’uscita dal carcere dei detenuti con fine pena vicini, ma l’effetto desiderato di un effettivo calo della popolazione penitenziaria non è mai stato ottenuto.
Per i nostri lettori più interessati, vogliamo avviare, nel corso di più settimane dalle pagine di questo settimanale, un “viaggio” attraverso gli istituti alternativi alla detenzione. Crediamo infatti che i temi siano non solo di stretta attualità, visto che il problema del sovraffollamento carcerario è, come sopra abbiamo ricordato, una emergenza assolutamente pressante, ma anche di forte interesse culturale. Si dice infatti che la civiltà di un popolo si misura, tra l’altro, dal suo sistema carcerario, e nel caso dell’Italia si verifica quello che accade anche in altri settori: a fronte di leggi avanzate, pregevoli e condivisibili, abbiamo una applicazione pratica che a causa di burocrazia ottusa, farraginosità delle procedure, mancanza di mezzi e risorse, risulta assai problematica ed inefficace. Siamo bravi, sembra, nell’enunciare buoni propositi, ma non altrettanto nel tradurre i propositi stessi in realtà.
I lettori che avranno la pazienza e la costanza di seguirci nelle prossime settimane potranno pertanto conoscere da vicino l’affidamento in prova ai servizi sociali, la semilibertà, la detenzione domiciliare. i permessi premio e di necessità, con i loro regimi applicativi ed i requisiti per accedervi, e potranno, in tal modo, avere uno “spaccato” di vita e regime carcerari che di certo può essere assai interessante.
Alle prossime settimane, allora.
Avv. Stefano Sabatini