La parola ai diritti degli studenti- cittadini e consumatori e ai doveri delle istituzioni, degli uomini pubblici.I recenti tagli di 22, milioni e 250mila euro all’ Apq “ innovazione e ricerca universitaria che la Giunta regionale ha effettuato con delibera n. 362 del 26 luglio 2013 ha suscitato forti polemiche all’interno dell’Ateneo molisano ( e con questo intendo riferirmi alla nota di protesta del Collettivo 2 k 8 ) che ha lamentato il mancato finanziamento di progetti finalizzati alla ricerca e all’innovazione. Di qui una serie di accuse e di giustificazioni reciproche che non apportando la necessaria e doverosa chiarezza ingenerano confusione in coloro che sono coinvolti nella vicenda, fruitori da una parte, ed Amministrazioni dall’ altra.Quanto riportato è un esempio per l’avvio di un tema fondamentale soprattutto nelle Società che si vantano di essere democratiche e che può essere tradotto nella seguente espressione: “Conoscere bene i propri diritti è la prima regola, è la base di partenza per farli valere”.
E il capitale cognitivo dell’Università degli Studi del Molise tali diritti sembra conoscerli bene ( il riferimento è alla recente nota di protesta del Collettivo 2 K 8 sui tagli all’Università degli Studi del Molise sopra menzionati).Ma se da una parte ci sono i diritti degli studenti, dei ricercatori (come nel caso sopra riportato), e quindi dei cittadini, dall’altra –occorre all’uopo ricordare- ci sono i doveri delle Istituzioni che non possono restare indifferenti, o peggio rivelarsi perfino fuorvianti .Le facili dichiarazioni, i buoni propositi, per quanto innegabilmente importanti necessitano che si traducano nella prassi. In definitiva la fondatezza dei proclami sbandierati con estrema disinvoltura va misurata nella fattispecie con l’assunzione di responsabilità, atta a far fronte agli impegni assunti da parte degli uomini politici nei confronti dei cittadini, di tutti i cittadini. L’obbligo alla verità da parte delle istituzioni deve tradursi in diritto all’informazione sul versante dei cittadini medesimi, “consumatori” di informazioni.
Nell’articolo 19 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’uomo dell’ONU si afferma che “ogni individuo ha diritto di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee con ogni mezzo e senza riguardo a frontiere”. Tale diritto individuale alla ricerca della verità attraverso le informazioni chiarisce bene quale sia il significato della verità nelle società democratiche, attraverso la puntuale ed esatta informazione, che si presenta come il risultato di un processo aperto di conoscenza, che lo allontana radicalmente da quella produzione di verità ufficiali tipica dell’assolutismo politico, che vuole proprio escludere la discussione, il confronto, l’espressione di opinioni divergenti e le posizioni minoritarie.La mancanza di chiarezza purtroppo è un campanello d’allarme che necessita una risposta e su cui la politica è tenuta ad interrogarsi, perché dalla chiarezza partono le basi del dialogo costruttivo, del confronto locale, della fiducia e della credibilità, assi portanti di una società civile.Se manca la chiarezza, ahimè, il sistema rischia di sgretolarsi e di perdersi: garantire un impegno, senza specificare come e quando è per questi tempi troppo riduttivo: i giovani esigono certezze, né utopie, né aspettative, chiedono che vengano semplicemente promosse, garantite e salvaguardate le condizioni che rendano effettivi i loro diritti.
Il linguaggio con cui vogliono cimentarsi è quello della trasparenza, la salvaguardia e la valorizzazione della crescita culturale ed economica.
Tutti sanno che lo Stato non potrà mai intervenire dando ad ogni persona un posto di lavoro: però tutti sanno che rispetto alla realizzazione del diritto al lavoro le istituzioni politiche sono tenute ad evitare le cosiddette “misure regressive”, misure cioè che rappresentano passi indietro rispetto alla realizzazione del diritto al lavoro medesimo. Se per causa forza maggiore le misure regressive dovessero risultare necessarie, quelle medesime istituzioni hanno comunque il dovere di dimostrare che per la realizzazione del diritto al lavoro e degli altri diritti economici, sociali e culturali è stato utilizzato il massimo delle risorse disponibili.
Il termine “dimostrazione” nel caso di specie è un termine molto semplice e comprensibilissimo alle orecchie del cittadino medio: l’obbligo, infatti, include una certa specificità, divieto di genericità e/ o ambiguità nell’informazione che si intende trasmettere: termini come eventualità, o possibilità non possono essere, infatti, usati, né pensati: gli unici interventi possibili sono quelli diretti, con un’attivazione chiara, veloce ed efficace.La chiarezza non è in definitiva una mera aspirazione della società, ma un diritto nascente da un obbligo ben definito, non passibile di compromessi accessori.