Qualche frantume di bellezza si rivela comunque e nonostante tutto in questo mondo centrifugato verso un esterno indefinito, ma anche imploso dentro l’umana specie che vaga con nonchalance tra le sue stesse macerie. Fa zapping tra canali di comunicazione diversi, una promenade tra gli scaffali pieni dei prodotti in un mondo-supermercato. Ma lo sguardo cede e si concentra su un dettaglio da niente che forse però dice tutto: si cela lì una bellezza involontaria che coincide con l’ironia della sorte. Inatteso stupore. Fausto Colavecchia (Limosano, 1959) non può che essere artista extra-mediale nell’accezione di Enrico Crispolti. Ogni tecnica va bene per dire cose diverse che vanno dette nel modo più efficace e questo polimorfismo crea manufatti che sembrano non comunicare tra loro. E invece, a mio parere, indicano oltre lo smarrimento, che è già in sé uno stadio nobile del pensiero, un metodo: osservare a lungo e trovare qui e lì dettagli in cui avviene l’inciampo, il difetto, il tic che scardina l’ordine delle cose, quell’ordine voluto dal main stream perchè è rassicurante; un mantra comodo che non mette mai in discussione gli schemi sociali e materiali. Ma il programma va a monte: c’è Colavecchia che mischia le carte, scuote le viscere del sistema; e questa slavina o minima crepa capillare è ciò che permette un modo creativo di vedere le cose. Apre uno spazio di mezzo, un ‘fra’ come direbbe Cesare Pietroiusti. Spesso Colavecchia usa la fotografia, ma la realtà nei suoi scatti appare trasfigurata come in una metamorfosi continua e dunque fa un uso paradossale del mezzo.
Don’t eat the yellow snow ha diversi livelli di lettura. Intanto l’ironia gioca un ruolo determinante: la neve non è sporca, è solo gialla. Vi piace il giallo? Questione di gusti. Posso offrire una granita? Non bisogna mangiare la neve gialla, ma comunque è biologica e forse anche vegana. (Non ne sono certo -datemi un attimo che controllo su internet -). Viviamo nell’epoca dell’enciclopedia a portata di click, del sapere per tutti su tutto. Ma cosa sappiamo? Nulla o poco più. Abbiamo perso totalmente o quasi la ‘comprensione’. Comprendere vuol dire contenere, ricordare. Ma non serve più ricordare: se vuoi sapere cos’è la neve gialla cercalo su un motore di ricerca e troverai la risposta. Fake news? Cosa importa? L’importante, se hai un cane, è portarlo fuori la sera a fare i suoi bisogni. Poi puoi dormire tranquillo, ora sai tutto sulla neve gialla.
Michele Porsia
Fausto Colavecchia (Limosano, 1959) vive e lavora a Limosano (CB). Espone alla Galleria d’Arte Contemporanea Bianca Pilat di Milano cui segue il primo posto al Premio Trevi Flash Art Museum. Allestisce una personale a Campobasso nello spazio Zonacinque dal titolo Casadolcecasa e partecipa alla collettiva Fuoriluogo 8 negli spazi della Galleria Sala 1 a Roma. Segue una nuova personale presso Limiti inchiusi arte contemporanea a Campobasso, Bricolage Democratic , Seguono due mostre a cura di Lorenzo Canova, Genius Loci nella Galleria Civica d’Arte Contemporanea a Termoli e Fuoriluogo 10 ospitata al Palazzo Chiarulli di Ferrazzano (CB). E’ al MACI di Isernia con la mostra IsArt e al Pescara Electronic Artists Meeting a cura di Luigi Pagliarini. Partecipa alla Rassegna di videoartisti internazionali all’Università degli studi del Molise. Con Viaggio/Viagem è in Brasile al Museo Històrico Municipal di Itatiba per poi prendere parte ad una nuova edizione di Fuoriluogo- Una regressione motivata, a cura di Deirdre MacKenna, affiancando i lavori di Douglas Gordon e Stephen Partridge. Ma fin est mon commencement e Art Linking Project lo ospitano a Campobasso ma con Regioni e Testimonianze d’Italia 1861 – 2011, è al Complesso Monumentale del Vittoriano di Roma. LVII Premio Termoli, a cura di Lorenzo Canova. Recentemente è stato invitato dalla curatrice Deirdre MacKenna alla mostra Second Sight presso lo Scotland’s Centre for Photography di Edimburgh e ha partecipato all’edizione 2015 del Premio Celeste, a cura di Lorenzo Benedetti, presso Assab One a Milano.