Un caro saluto e vi presento questa bella foto di Antonio Mignogna, bravo fotografo, ottimo artigiano e mio amico, purtroppo per lui, da decenni. Il motivo della pubblicazione della foto non risiede nel fatto che ci conosciamo da anni, ma perché è veramente bella e a me fa venire in mente la bellezza della nostra terra e l’attaccamento che ognuno di noi prova verso questa terra.
Detto questo ora vorrei parlare di qualcosa accaduto tanto tempo fa quando il Contado di Molise era “addietrato” non poco e i moliSANI erano costretti a lavorare fuori dalla propria residenza, fuori dalla propria magione dove insisteva la famiglia. Di molisani che lavoravano fuori ne avevamo di parecchi titpi, tutti affranti e distaccati dalla terra di origine. Ogni tanto capitava di ritrovarne qualcuno sui social e subito il pensiero andava ai giorni spensierati della giovinezza. Oltre gli “stranieri” che lavoravano fuori dal Contado, o addirittura fuori dall’italica nazione, c’era un gran bella fetta di persone che lavorava in altro comune rispetto a quello di residenza/nascita.
Erano i molisani del contado che avevano due lavori: uno quello in ufficio/ fabbrica ed un altro come viaggiatori cosiddetti PENDOLARI, perché pendolavano tra il desco familiare ed il desco lavorativo. Il pendolare era quale lavoratore che a differenza del collega “sul posto” era costretto ad alzarsi due ore prima per poter assolvere a tutte le abluzioni mattutine, espletate anche nel pieno della notte e poi la solita ora di viaggio tra e strade. In alcuni casi, come un mio amico, avevano deciso di farsi crescere barba e capelli tanto da avere un successone durante la settimana santa.
La vita dei pendolari iniziavano con la salita sul pullman che li avrebbe condotti al posto di lavoro. Appena saliti sul pullman ci si salutava e ci scappava anche qualche battuta o qualche sfottò per poi lasciare immediatamente il posto a cercare di recuperare qualche minuto di sonno, c’era chi ci riusciva e chi si imbottiva di caffè, e la strada era uguale per tutti.
A proposito della strada da fare, che faceva l’autista, e meno male perché tutti gli altri dormivano, la strada, dicevo, era irta di varianti e soste. Le soste non erano, nel caso del tragitto da Campobasso, Capitale del Contado e Termoli, sede dell’ambasciata rivierasca/marina del Contado. Si diceva, dunque, che la strada era piena zeppa di soste , era una specie di gioco dell’oca. Ogni tanto c’erano di semafori e secondo il momento ti potevi ritrovare a dover ricominciare il tragitto. Non che si tornasse indietro, ma ad ogni semaforo rosso dovevi sperare nel buon piede dell’autista che, a suo rischio e pericolo da un punto di vista sia stradale che disciplinare, pigiava sull’acceleratore per recuperare il tempo perduto.
Ah, dimenticavo, le soste non erano causate dal vero gioco dell’oca, erano causate da lavori di manutenzione di alcuni viadotti che attraversavano un lago per la sua lunghezza e non per la sua larghezza. Noi del Contado di Molise non siamo mai stati delle persone normali.
Quindi una volta superato il “gioco dell’oca” fatto sulla pelle di chi già si doveva alzare prima dei colleghi “stanziali”, si ripartiva per arrivare al cancello della fabbrica dove lavoravano e dove li aspettava una “normale” giornata di lavoro. La fabbriche erano tutte concentrate in una zona chiamata “nucleo” e dovevi essere fortunato se la tua fermata era vicina al cancello del tuo posto di lavoro, diversamente dovevi farti passare il sonno di corsa e fare quel chilometro che ti mancava come fosse un dei giochi del declaton e quindi eri costretto a correre per recuperare il tempo perso tra i semafori della Bifernina. Tutto questo per cercare di evitare l’addebito in busta paga del ritardo.
Ed in questa storia cosa potrebbero entrarci i politici? Da vicino o da lontano i politici ci possono sempre entrare. Lasciamo il passato e “torniamo” ai nostri giorni: la Bifernina è un asse di collegamento molto importante non solo tra la costa e l’entroterra ma anche, insieme alla Trignina, tra il Tirreno e l’Adriatico. I lavori che stanno compiendo sulla Bifernina sono estremamente necessari ed non di certo procrastinabili, quello che vorremmo capire è il perché questi lavori siano svolti da pochi operai alla volta e sempre con una lentezza estrema, quello che vogliamo capire è perché una classe politica che dovrà cercare i voti anche a quei pendolari, non riesce ad anticipare di qualche minuto la partenza dei pullman per cercare di recuperare qualche minuto sia sulla percorrenza che sull’arrivo e cercare di non far addebitare ai pendolare qualche ora di salario.
Questo perché, hanno detto i pendolari, loro a lavorare ci vanno, come ci andiamo tutti, per avere un tornaconto a fine mese. Ma se a fine mese il mio tornaconto se lo “zuca” il ritardo sulla Bifernina, io a casa che ci porto?
Detto questo voglio salutare tutti con affetto e stima vi saluto immantinente con il solito: statevi arrivederci!
Franco di Biase