Un approfondito panorama della realtà degli studenti universitari molisani fuori sede, con il racconto della loro esistenza quotidiana nella Città Eterna, spesso standardizzata di generazione in generazione. E’ un bell’affresco quello realizzato da Alessandra De Blasio, campobassana doc ma da anni residente a Roma, che ha pubblicato “Io gennaio me lo immagino bello. Storie di una fuorisede” per i tipi delle edizioni “La Ruota”.
Partendo dalla sua esperienza personale, simile a quella di tanti molisani che abbandonano prima per studio e poi per lavoro la terra dove hanno trascorso infanzia e adolescenza, la De Blasio racconta la vita dello studente fuori sede. A cominciare dal problema dell’alloggio, nel suo caso un appartamento con i pavimenti da garage, le porte da ospedale, due bagni in uno, il telefono duplex. Una condizione che sembra fatta apposta per temprare generazioni di studenti. Poi i padroni di casa, mai ordinari: madre e figlio, una sorta di cooperativa acchiappasoldi grazie a frotte di studenti distribuiti in più appartamenti. E ancora, i pasti, il sonno, gli umori, tutto esperienza in comune, tra il doversi fidare per forza e qualche immancabile alleanza.
Gli studenti sono sempre un po’ sospesi, un po’ nomadi, un po’ precari. Con quella sensazione di sentirsi sempre lontani da qualcosa di saldo ma, nel contempo, sfuggente. Non sono più molisani, o forse l’hanno definitivamente chiuso dentro quel mondo della provincia, ma non saranno mai nemmeno pienamente romani. Su tutto troneggia un ventaglio di storie importate dai paesi d’origine che si confronta quotidianamente con la bonaria tracotanza della Città Eterna: i capitolini strabuzzano gli occhi quando i dialetti sono estranei al loro universo conosciuto. La richiesta di un “ruoto”, alias “teglia”, riconduce ai fatidici 230 chilometri di distanza tra Campobasso e Roma. Inevitabili, per quanto abissali.
Ma il libro, ben scritto, è ricco anche di considerazioni intimistiche, che sfiorano la poesia. La terra d’origine, il Molise, è vissuta come un austero dipinto fitto di pennellate di grigio e di bianco. Tinte che impersonano il freddo, la neve, la nebbia – perché un territorio montuoso del Sud è anche una sorta di Mezzogiorno nordico – gli intonaci scrostati, la lentezza dei ritmi, la diffusa sussistenza, il protagonismo del mese di gennaio. Tanti algidi pigmenti che si presentano in linea – forse all’altezza – della dichiarata mestizia dell’autrice. Ma la sua è una malinconia creativa, chimerica, sognatrice, che garantisce occhi intelligenti e rapitori, capace di cogliere le essenze più profonde del mondo dei ricordi d’infanzia, con i conigli e le api di zia Giulia o le bretelle sulla canottiera di zio Michele, fino alla Roma della maturità, città aperta e “polmonare”, tanta aria, per quanto infestata di smog fisico e morale.
L’autrice, però, non rompe il cordone ombelicale con il Molise. Addirittura lo rafforza grazie al marito di Isernia e al figlio che fa volutamente nascere a Campobasso,forse per ringraziare il capoluogo molisano per gli infiniti e teneri ricordi: dalla libertà assicurata da una bicicletta con quel turbinare in centro che diventa girotondo felliniano, tra amicizie e palpitazioni amorose, fino allo spuntino in ore scolastiche prodotto dal bar-pasticceria Lupacchioli, complice l’impareggiabile cornetto con marmellata di amarene. E come poter dimenticare il compagno di classe, Nicola da Gildone, che Dio lo abbia in gloria, che ha preservato la cultura contadina presentandosi a scuola con pane e peperoni?
Se tutte le strade portano a Roma, quella della De Blasio resta lastricata di resti sanniti.
Il libro sarà presentato in primavera a cura della casa editrice “La Ruota” in collaborazione con “Forche Caudine”, l’associazione dei molisani a Roma.Area degli allegati