Sono di quelli che dei giorni di vacanza collettiva approfittano per ritagliarsi una pausa di riflessione: in famiglia, lontano – per quanto possibile – dal frastuono della quotidianità. Così ho fatto a ferragosto. Senza rinunciare, ovviamente, alla lettura dei giornali. Subito vengo colpito dai titoloni sulla prima pagina dei nostri quotidiani regionali: uno dei tanti sedicenti comitati, confezionati su misura, urla la sua protesta contro l’Arcivescovo di Campobasso, Mons. Bregantini, reo diaver levato la “voce forte e potente per la salvaguardia degli interessi della sua prediletta struttura privata”. Cioè della cosiddetta “Cattolica” di Campobasso.
Che cosa è successo?
Un mese fa la struttura commissariale per la sanità regionale aveva deciso che chi si sottoponeva a chemioterapia presso la “Cattolica” doveva farlo a spese proprie. La disparità di trattamento era evidente: non tanto tra le varie strutture sanitarie ma – cosa molto più grave – tra i vari pazienti. A questo punto il Presule di Campobasso, per una sorta di interesse… affettivo (a detta dei “protestanti”), si era schierato a fianco di quelli che sostengono che il cancro non fa distinzione tra un ospedale e l’altro! Di qui il ripensamento della struttura commissariale e il ristabilimento dell’elementare principio di equità. Infine – qualche giorno fa – il nuovo decreto, che ripristinava l’uguaglianza di trattamento per tutti i pazienti affetti da tumore, indipendentemente dalla struttura scelta per la chemioterapia. Apriti cielo! “È scoppiata la rabbia”, si legge sui giornali di ferragosto; “L’ira del pro Cardarelli”; “Affondo senza precedenti del comitato”, che “denuncia le continue agevolazioni al privato a discapito del pubblico”…
Lì per lì, colpito dall’enfasi e dai paroloni, cerco di seguire il ragionamento dei firmatari della protesta anti-Bregantini. Gli ospedali pubblici – mi par di capire – sono danneggiati se un povero disgraziato non è costretto ad andare per forza da loro! Mi dico che non è possibile, che forse non ho capito… E qui il mio pensiero scivola verso sbiaditi ricordi scolastici: di quando i professori ci parlavano dei danni irreparabili causati dall’autarchia fascista. L’economia chiusa – ci dicevano – disincentiva l’innovazione, lo sforzo per fare meglio, per abbattere i costi. E così via…
Subito dopo, però, mi pervade un sentimento di tristezza: sottile ma profondo, senza scampo!
A questo stiamo riducendo il dibattito politico? Quartiere contro quartiere, bottega contro bottega, lungo il filo di uno sterile e malinteso rivendicazionismo che non ci porta da nessuna parte? Così pretendiamo di rivitalizzare la nostraregione? Così pensiamo di scongiurare il pericolo – ormai incombente – di vedere smembrato, disintegrato, risucchiato e assorbito da altre regioni il nostro Molise?
La competizione cambia registro e si fa rissa da condominio; alle ragioni alte delle comunità si sostituiscono le meschinerie del posto di lavoro sotto casa, incuranti del fatto che quel posto tra poco non ci sarà proprio più, né vicino né lontano, se si va avanti di questo passo. Come è stato per l’industria tessile e per quella dei polli e per quella dello zucchero…
C’era una volta un Molise competitivo, in cui i politici locali si confrontavano con Roma e con Bruxelles, gli imprenditori locali elevavano la competizione a livello nazionale e internazionale, politici e imprenditori facevano a gara a chi più sapeva mirare in alto. E cogliere nel segno. Il Sindaco di Termoli non si opponeva a Isernia Provincia ma pretendeva per la sua Città la Fiat; Campobasso guardava con una certa invidia allo sviluppo delle “ali” della regione (Larino-Termoli da un lato, Isernia-Venafro dall’altro) ma si agitava in positivo per esaltare il suo ruolo di capoluogo regionale, unica vera Città della regione, con tanto di Università, Scuole militari e tutta la ricchezza di unsettore terziario avanzato.
C’era una volta un Molise che tracciava il disegno del proprio sviluppo: centri di ricerca, sistema organico delle infrastrutture anzitutto viarie, schemi idrici, reimpostazione politico-amministrativa e istituzionale, costruzione di un solido tessuto amministrativo sulle fondamenta della ricostruzione post-bellica. Il Molise di D’Aimmo, di Sedati, di Lapenna, di Di Giacomo, di Biscardi…
C’era una volta il Molise che sognava: sognava e cresceva, cresceva e sognava… Costruiva, insomma.
Oggi, stanchi o incapaci di costruire il nuovo, ci si immiserisce nella sterile spartizione delle vesti, cercando ognuno di accaparrarsi quel che resta da spartire, facendo scadere a rissa deprimente la sana competizione, abbandonando ogni senso di umana solidarietà. Soffocando – cosa più grave – anche quel poco di buono che i più coraggiosi e tenaci riescono a costruire.
Tutto ciò è molto pericoloso, oltre che triste.
Come reagire in positivo? Interroghiamoci con serenità, rispondiamoci con schiettezza, impegniamoci con forza, in un grande movimento di popolo che ci faccia costruire il giorno del nostro riscatto: come cittadini, come donne e uomini davvero degni di questo nome, come genitori su cui incombe la responsabilità verso i figli per gli anni a venire.
Aldo Patriciello
Parlamentare europeo