di Stefano Manocchio
Una delle mosse vincenti della dirigenza che gestì il basket professionistico maschile campobassano negli anni d’oro fu, secondo me, il perfetto mix tra grandi campioni, di livello anche superiore rispetto a quello del campionato e talenti locali, provenienti spesso dal vivaio; così ebbero modo di far parte della rosa i ‘campobassani’ Cefaratti, Ladomorzi, Sabatelli, ma anche nella prima fase Di Marzio, Bilotta, Romolo, Di Placido, Sabelli, solo per citarne alcuni, senza contare anche il gruppo ‘termolese’ che, tra nativi e residenti è stato anch’esso numeroso (Basso Lanzone, Maj, Del Sole, Corazza ed altri). Nell’intervista odierna parlerò con Michele Cefaratti; ed avendolo praticamente visto crescere cestisticamente mi permetto anche questa volta di usare il tono confidenziale nelle domande.
Come ti sei avvicinato al basket?
“Quasi per sbaglio; fu un amico di mio padre che mi portò nel 1980 alla palestra dell’Itis, dove giocava il Nuovo Basket Campobasso con i vari Pizzirani, Milillo, Salvatore, ma anche i ‘campobassani’ (sono stati già citati in premessa). Allenatore era il compianto Ugo Storto. E’ stato un periodo molto bello e ho come unico rammarico di aver iniziato a praticare quello sport troppo tardi, a 16 anni. Allora mi allenavo sia con la prima squadra che da solo con l’allenatore, tutti i giorni compresi i festivi, senza sosta. Nel 1982 passammo a giocare al Palavazzieri ed arrivarono i vari Cardinale, Cardinali, Pagliusco, Romito, Bianchini e altri. Abbiamo vinto tanto, fino alla serie B; ma nel 1984 sono partito per il servizio militare in aeronautica e, visto che ero alla base di Amendola, ho giocato a San Severo in serie C. Sono tornato a Campobasso, dove sono rimasto fino alla vittoria del campionato di B2. Nel 1988 il mio cartellino è stato venduto al Barletta in B2, dove ho trascorso tre anni bellissimi, da protagonista e per due anni abbiamo disputato i playoff per l’accesso in B1. Poi sono andato a Livorno in C e in due anni siamo arrivati alla B1 e sono tornato a Campobasso dove ho iniziato anche a lavorare, come dipendente in una ditta edile di cui poi sono diventato socio e quando l’altro socio è andato in pensione ho continuato con le mie forze. Ancora svolgo questo lavoro, con passione.
Un legame, con il basket che è durato a lungo: e poi?
“Ad un certo punto c’è stato un momento di stallo e non volevo sentire parlare di pallacanestro; poi andai a vedere giocare il Ferentinum e l’odore del parquet mi fece tornare la voglia di scendere in campo. Ho ripreso dalle serie minori, tra Campobasso e Ripalimosani, fino alla veneranda età di 46 anni, quando un medico ha detto che bastava così: era il 2010”.
Hai mai pensato di intraprendere la carriera di allenatore?
“Mai, per motivi caratteriali; l’allenatore deve essere una persona sempre tranquilla e misurata e deve infondere calma. Ho ancora legami con il basket, seppur diversi: come azienda siamo tra gli sponsor della squadra femminile de La Molisana Magnolia di A1; l’ho fatto per amicizia con Sabatelli”
Quale è stato l’anno più bello?
“Quello del passaggio di categoria vincendo il campionato di B2: c’era un bel clima ed ero amico di Servadio e Grasselli (che poi ho ritrovato a Livorno), Mossali, Bardini, Pstorello, Romito, Gatti e Gatto .L’amicizia è stata ed è molto forte con Servadio, un’amicizia sincera, di cuore; venne a Campobasso accompagnato dalla nonna perché non aveva i genitori e la nonna per lui era la vita. Mi commosse molto la sua storia e siamo diventati amici in maniera totale; sono anche stato al suo matrimonio. Lui dopo Campobasso ha giocato anche in A2 dove è stato anche capocannoniere del campionato; la vita gli ha remato contro e per me è un campione in campo e fuori”
Può tornare il grande basket maschile a Campobasso?
“So che c’era un progetto di Mimmo (Sabatelli, ndr) in tal senso per fare qualcosa di buono; ci vogliono tanti soldi, forse troppi per questa città e ci vorrebbe un budget non inferiore a quello della squadra femminile della Magnolia. Io lo auguro ma non credo che ci siano i presupposti: la B maschile, ad esempio, è qualcosa di grande e i tempi sono cambiati. Allora il segreto fu di coinvolgere Franco Di Placido, che purtroppo non c’è più; lui ci mise soldi e passione, è stato un grande presidente. A quei tempi tutto funzionò bene: in società i fratelli Di Vico, Varrone, Antonelli e Sardelli ci mettevano l’anima, avevamo buoni allenatori ed abbiamo avuto anche due grandi preparatori atletici; Bruno Petti e il compianto Tonino Bussone.
Vogliamo ricordare qualche episodio?
“Andai via da Campobasso dopo un infortunio a Battipaglia e a Barletta mi presero nonostante avessi lo scafoide rotto e il prof. Perugia non mi avesse dato certezza sul recupero (e di fatto non mi assicurò che avrei giocato). Io avevo posto delle condizioni per rimanere a Campobasso e Sergio Di Vico non le accettò dicendo che c’erano onori ed oneri; la frase non mi piacque e litigammo, poi con il tempo abbiamo fatto pace. C’è un altro episodio che voglio raccontare. Quando dissi a mio suocero che volevo sposarmi con sua figlia lui, che ha una forma mentis quasi militare, rimase di stucco e mi chiese con quale lavoro avrei provveduto agi impegni familiari. Io dissi di essere giocatore di pallacanestro e ci rimase male; per fortuna c’era mia moglie a sostenermi in tutto, perché lei è stata ed è la mia forza, mi ha seguito ovunque e non è un caso se siamo ancora insieme. Con noi mio figlio è cresciuto a pane e basket ed anche se non ha avuto la fortuna di fare una carriera sportiva come la mia ancora oggi che è trentenne ha un pensiero fisso per la pallacanestro”.
Direi che è il finale giusto per questa intervista.
Ringrazio il Comitato Regionale del Molise dell’Associazione Nazionale Stelle e Palme al Merito Sportivo che, nella persona di Michele Falcione, mi sta dando un grande aiuto nel contattare i personaggi che poi andrò ad intervistare.