di Stefano Manocchio
Non tutte le interviste sono uguali, certo, in questo percorso a ritroso nel tempo; Alberto Gatti avrà un punto di visuale differente rispetto ad altri, visto che lui a Campobasso ha deciso di tornarci per viverci e nel capoluogo molisano ha trovato moglie e lavoro, quindi di fatto è campobassano d’adozione. Il forte pivot che era cestisticamente cresciuto nel ricco vivaio di Varese e comunque per due stagioni è stato nella rosa dei primi dieci della squadra lombarda in serie A, prima di arrivare a Campobasso aveva vissuto l’esperienza del militare con la squadra delle Forze Armate, che allora aveva come allenatore Maurizio Martinoia. A Vigna di Valle giocò un campionato che portò la squadra in B d’Eccellenza, poi uno a Fabriano in A2, in prestito e con un ricordo non del tutto positivo (“ad un certo punto ho pensato anche di smettere” ha confidato). Fu proprio il futuro allenatore rossoblù a proporre a Gatti di venire a Campobasso, dove rimase quattro anni, l’ultimo dei quali con Vandoni allenatore. Proprio con il ‘professore’ il rapporto non fu proprio idilliaco e Gatti non si sottrae alle domande e precisa subito la situazione che si era creata.
“Vandoni prese Tonino Fuss e per cinque partite non mi fece giocare, ma i risultati non arrivarono; poi il giocatore fu squalificato e io tornai in quintetto e vincemmo cinque partite- ha detto perentorio. Lui era molto legato all’immagine, interessato all’esterno e ci dava poco spazio; frequentava ambienti romani importanti e si era creato questa immagine forte. Martinoia invece era un bravo ragazzo, disponibile e ci ha messo in condizione di far bene”.
Come fu l’impatto appena arrivato a Campobasso?
“io avevo un’auto certo non brillante e all’Ingotte si stava fermando e io pensai subito dove ero capitato; appena arrivato in città avevo appuntamento da Lupacchioli e i Di Vico mi portarono immediatamente a Campitello per il campus estivo. Sono stati anni molto belli, la città si rivelò subito tranquilla ed è il luogo ideale per stare con la famiglia e se non si hanno troppi grilli per la testa; la scelta di farla diventare la città in cui restare è stata una scelta consapevole e mia moglie è di Campobasso. Sarei rimasto anche più di quattro anni all’inizio, ma non c’era il palazzetto e ad un certo punto si è creata una situazione che ha determinato l’impossibilità a rimanere su certi livelli. Sono andato a Ravenna e ci sono rimasto 10 anni in B1 (e lì si è sposato, ndr) e sono stato sempre tra i migliori della categoria ai rimbalzi. Ho giocato fino a 37 anni sempre ad alto livello. Poi ho scelto di rimanere a vivere a Campobasso”.
In tanti hanno detto che a favorire il clima ideale è stata anche la società sportiva, in simbiosi con la squadra
“Loro mantenevano le promesse e questo fatto è stato accreditato ovunque; si sparse la voce e tutti volevano venire a Campobasso. Davano grande attenzione ai giocatori; noi eravamo giovani e il rapporto era familiare, quasi genitoriale ed eravamo coccolati. L’organizzazione societaria era perfetta; il presidente Di Placido era un gentiluomo e aveva passione e amore per quello che faceva, ma poi gestivano tutto i vari Di Vico, Antonelli e Sardelli e gli altri e funzionava tutto bene. In B2 siamo stati stratosferici. Nel cuore mi è rimasto il primo anno, dalla B2 alla B1: si creò una situazione magica in campo e tutti erano disponibili a sacrificarsi. Eravamo amici anche nella vita. Io ero in appartamento con Pastorello, una persona speciale ed eravamo molto amici; la domenica mattina ci chiamava Gianni Oriente per la sua trasmissione radiofonica e si creavano delle situazioni belle, con delle gag esilaranti”.
Poi nel 2012 la storica partita con le glorie rossoblù: che significato ha avuto?
“E’ stato un tuffo nel passato, poi lo scopo di acquistare un defibrillatore era molto importante e Michele Falcione ha organizzato bene l’evento. Ci sono giocatori che sono andati a vivere fuori dal Molise ma sono rimasti affezionati a Campobasso: cito per tutti Trotti, Giarletti, Graberi e Pastorello”.
Può tornare il grande basket maschile a Campobasso?
“Il problema è che i ragazzi a vent’anni vanno via e non si riesce a creare un vivaio, importante per un discorso di rilancio; se si devono prendere 10 giocatori tutti da fuori, anche se i costi adesso sono più bassi rispetto al passato, la spesa diventa ingente. Va dato atto alla Magnolia di esserci riuscita nel basket femminile, grazie alla lungimiranza e anche al sacrifico economico sopportato dai Ferro. Mimmo (Sabatelli, ndr) è riuscito, con bravura e anche con un po’ di fortuna, a raggiungere obiettivi importanti. Quando sono tornato si è cercato anche di fare la serie C a Campobasso, poi non è andata bene. Bisogna investire molto e i soldi forse non ci sono; sarà difficile ricostruire il basket maschile a quei livelli; adesso anche il calcio è in ripresa, speriamo bene”.
Era tutto bello e lo è stato non solo per i giocatori ma anche per il giovane cronista e spettatore di allora, che anche stavolta ha aperto lo scrigno dei ricordi.
Ringrazio il Comitato Regionale del Molise dell’Associazione Nazionale Stelle e Palme al Merito Sportivo che, nella persona di Michele Falcione, mi sta dando un grande aiuto nel contattare i personaggi che poi andrò ad intervistare.