di Stefano Manocchio
Tutte le persone intervistate finora in questa rubrica, alla domanda su chi ricordassero dei personaggi del basket maschile campobassano degli anni d’oro hanno nominato i fratelli Di Vico, Antonio Varrone e il compianto Carlo Antonelli; per questo motivo al momento di decidere di intervistare Luciano Di Vico ero già sicuro che avrebbe sciorinato ricordi a volontà, fatto estremamente utile per il lavoro del cronista. L’intervistato è stato un fiume in piena al punto da confidarmi che sul tema potrebbe parlare tranquillamente per ore se non giorni.
Uno dei dirigenti del basket campobassano più longevi si avvicinò alla società cestistica in maniera anomala: da cronista critico delle vicende del basket maschile.
“Scrivevo con Liberato de Filippis su un giornale locale; era il periodo di Montano allenatore e Bianchini play e la squadra era andata in serie D, ma secondo me si sarebbe potuto fare molto di più. La società mi avvicinò e, strano a dirsi, da quel momento iniziò la mia lunga appartenenza alla dirigenza del basket campobassano. Ora i ricordi sono tantissimi, come le vittorie e la serie di promozioni: con Pizzirani arrivammo subito allo spareggio vincente con Teramo per la serie C, poi quello per la B2 con Battipaglia. Alla fine si sono accumulate anche le notizie negative, fino alla mia decisione di lasciare con il basket dopo la cessione del titolo”.
Il segreto di tanti successi?
“Nel nostro caso idee chiare, organizzazione aziendale ma anche, come succede sempre proprio nelle storie di successo diverse coincidenze, per fortuna favorevoli. Ad esempio: per la partita con Teramo venero assegnati arbitri che erano conterranei dell’allenatore avversario; il presidente Morelli andò a Roma per protestare e venne mandata una coppia arbitrale bolognese che permise di giocare nonostante le rimostranze degli avversari per l’impianto piccolo e con il pubblico a ridosso del campo. E ancora: nello spareggio per la B2 con Battipaglia la prima partita della serie era punto a punto e Del Vicario segnò a pochi secondi dalla fine il canestro che avrebbe permesso agli avversari di vincere, ma commise infrazione di passi, che gli arbitri rilevarono giustamente: vincemmo noi e alla fine vincemmo la serie di partite utili per la promozione. Ma lo ripeto, senza una perfetta organizzazione societaria non arrivano tanti successi, a meno di disporre di un budget illimitato per comprare i giocatori migliori sul mercato, ma non era il nostro caso. Avevamo creato una finanziaria a supporto della società e il meccanismo all’inizio è stato vincente, ma alla fine il gruppo si divise e decidemmo di non proseguire con la serie B: Vendemmo il titolo a Pozzuoli (che poi andò anche in A2) e a quel punto mi sono allontanato dal basket, fatta eccezione per un breve flash con quello femminile. Resta la soddisfazione- dice ancora Di Vico – di aver rappresentato qualcosa e di esser stati presi ad esempio anche nell’ambiente sportivo che conta; ai tempi del presidente Di Placido eravamo messi su un palmo di mano anche dalle società di A2 per modello organizzativo. Il primo impegno per noi era la regolarità nel pagamento degli stipendi ai giocatori: fu una mossa vincente .Abbiamo poi valorizzato molti giocatori, sopperivamo ai costi alti rivendendo a quotazioni ancora più alte i nostri atleti, che a Campobasso riuscivano a mettersi in mostra e a giocare sempre bene. Basti pensare che siamo arrivati quinti in B d’Eccellenza”.
Facciamo qualche nome di giocatori e allenatori di quel periodo
“Vandoni come tecnico era un grosso esperto di basket, ma si faceva condizionare dai fatti della vita; Martinoia era quello più vicino ai giocatori, mentre Bocci era un sergente di ferro, fissato con il rispetto delle regole comportamentali. Cantone era un grande giocatore, purtroppo subito infortunato, Romito era tutto cuore, Pastorello aveva tecnica stratosferica e sapeva anche difendere ma non voleva farlo. Ho avuto comunque ottimi rapporti con tutti, da Trotti a Pastorello, Gatto e Gatti e c’è stata sempre sincerità tra noi”.
Ancora un episodio?
“Acquistammo Trotti, che era assolutamente di un altro livello e fuori dalla nostra portata, per un caso fortuito; lui giocava in A2 titolare, se non sbaglio a Desio, e mentre ero a telefono con dirigenti della società entrò nella stanza l’allenatore dicendo che non lo voleva più in squadra, non so per quale motivo personale. Lo prendemmo al volo senza pensarci due volte”
Può tornare il grande basket maschile a Campobasso?
“Non credo. Ci vogliono spalle robuste i costi sono saliti alle stesse e servono sponsor disposti ad investire grandi somme; poi in città manca l’impiantistica adeguata. Allora sarebbe meglio ripartire dal basso, dalle giovanili, costruire un vivaio e valorizzarlo, ma l’impiantista è importante e deve essere di proprietà per fare anche questo discorso”
Ringrazio il Comitato provinciale di Campobasso dell’Associazione Nazionale Stelle e Palme al Merito Sportivo che, nella persona di Michele Falcione, mi sta dando un grande aiuto nel contattare i personaggi che poi andrò ad intervistare.