Sorge spontanea di fronte ai dati che quotidianamente vengono sfornati, una domanda: perché gli stipendi italiani scendono se l’occupazione sale e cosa potrà succedere?
I dati Ocse mettono con le spalle al muro il mercato del lavoro italiano, affermando che gli stipendi nel nostro Paese nel 2020 risultavano più bassi del 2,9% rispetto al 1990 al netto dell’inflazione, unico caso nel mondo avanzato a registrare un passo indietro, al contrario delle dichiarazioni trionfalistiche delle organizzazioni sindacali CGIL-CISL-UIL che dichiarano di avere un tasso di sindacalizzazione(autocertificata) del centoventi per cento.
La situazione salariale è andata addirittura peggiorando, alla fine del 2022, scendeva del 3,4% rispetto al 2019, sebbene non ci sono ancora i dati definitivi del 2023, certamente l’inflazione è risultata ben superiore al tasso di crescita nominale dei salari, oggi i lavoratori italiani stanno peggio di trent’anni fa e non s’intravede un’inversione di tendenza sufficiente a garantire un maggiore potere di acquisto nel futuro.
La negatività dei dati salariali sembra contrastare con quelli positivi sull’occupazione record; non ci sono mai stati così tanti italiani al lavoro come in questa fase, sia in valore assoluto (quasi 24 milioni) che in termini percentuali (62,1%).
Come si spiega il fatto che i lavoratori siano sempre più numerosi ma guadagnano sempre meno?
La Stravaganza si spiega con il fatto che il boom dell’occupazione è in buona parte conseguenza dei bassi stipendi, le imprese ormai trovano il lavoro un fattore produttivo a basso costo, anche se la loro produzione cresce ogni anno di poco, anzi quella industriale è scesa del 30% dal 2007, date le retribuzioni stracciate vale spesso la pena di assumere.
Un’impresa produce avvalendosi di lavoro e capitale; gli stipendi sono il costo del primo, gli interessi il costo del secondo, per prendere in prestito denaro da investire in beni fisici (macchinari, capannoni, ecc.) e immateriali (know-how, licenze, ricerca e sviluppo, ecc.), il mix tra lavoro e capitale dipende dal relativo costo.
Gli stipendi in termini reali,in Italia, sono andati via via a deprezzarsi, rendendo il costo del lavoro sempre più basso, tant’è che conviene assumere, anche al netto dell’elevato cuneo fiscale, ma questa non sempre è una buona notizia.
Oggi che in percentuale lavorino più persone di qualche anno fa è un dato positivo, ma, se l’aumento dell’occupazione si concentra negli stipendi da terzo mondo o per meglio dire da economia regredita, il rischio è che in futuro assisteremo a bassa crescita economica e ad una stagnazione del mercato del lavoro.
Assumere perché gli stipendi sono bassi equivale ad investire di meno per far sviluppare la propria impresa; si risparmia oggi, ma a costo di produrre meno domani.
Molte imprese rinunciano ad innovare, concentrandosi su produzioni povere, cioè a bassa tecnologia, ciò lascia intuire che si registreranno tassi di crescita bassi nei prossimi anni.
Gli stipendi sono fermi al palo, a causa di un sindacato sonnolento e lontano dalla realtà e perché c’è abbondanza di manodopera non qualificata, dovuta al basso grado d’istruzione che caratterizza in negativo l’Italia, essendo pochi i lavoratori qualificati, anche perché alle imprese non conviene produrre in Italia beni e servizi ad alto contenuto tecnologico, con la conseguenza che non abbiamo alcun vantaggio comparativo su questo versante.
La bassa istruzione genera manodopera poco qualificata, che a sua volta attira produzioni povere, allettate dai bassi stipendi, per cui si intrappolano le imprese in una logica di scarsi investimenti, che alimentano una spirale di bassa crescita.
L’aumento dell’occupazione non rimarrà a lungo privo di effetti sulle retribuzioni, man mano che nei vari settori i lavoratori scarseggeranno, le imprese saranno costrette a pagarli meglio, già sta accadendo in alcuni casi, specie per le aziende di grosse dimensioni, basta pensare al settore ricettivo-ricreativo, dove si dava per scontato fino a qualche anno fa che un giovane lavorasse anche per un’intera giornata per pochi spiccioli e senza ferie infrasettimanali.
Quella che noi in Italia chiamiamo alta occupazione, all’estero fa ridere, siamo in fondo alle classifiche internazionali per tasso di occupazione, dieci punti in meno rispetto alla media dell’Unione Europea, al Sud crolliamo a percentuali anche inferiori, al 45%, tipiche più delle economie emergenti meno sviluppate.
Questo impedisce agli stipendi di crescere sia al nord che al sud, anche se è una ripresa si avvertirà prima nel Nord, dove i tassi di occupazione già si avvicinano alla media europea e dove c’è carenza di manodopera in vari settori.
Alfredo Magnifico