Continuando nell’esame del mondo penitenziario, iniziato con l’articolo di qualche settimana fa, può essere interessante verificare quali sono, nella Costituzione italiana e nelle leggi speciali, i principi che istituiscono e regolamentano i diritti dei detenuti. In primo luogo, la Costituzione sancisce il diritto, immanente, all’integrità fisica, intesa anche come tutela della salute in modo preventivo, e dunque con attuazione di tutti gli interventi terapeutici necessari ed opportuni. Sono inoltre garantiti il diritto ai rapporti familiari e sociali ed all’integrità morale e culturale. Come per altri versi, la Costituzione italiana si distingue per i suoi principi assolutamente avanzati e condivisibili. Non si è accontentata, l’assemblea costituente, di pronunciarsi sul trattamento umanitario, e sullo scopo preminente di rieducazione della pena, ma si è spinta oltre.
E se mentre per l’integrità fisica, con apprestamento di tutte le cautele necessarie a salvaguardarla, anche in via preventiva, si può pensare ad un fatto scontato, non altrettanto può dirsi per il diritto ai rapporti familiari e, soprattutto, all’integrità culturale. Dunque, il cittadino italiano ha diritto a mantenere, anche durante il periodo di privazione della libertà, i suoi interessi culturali, e pertanto le strutture penitenziarie devono essere attrezzate con biblioteche, e prevedere l’istituzione di attività teatrali, scolastiche ed educative. Come sempre, l’attuazione dei principi confligge con la loro attuazione pratica, per la quale occorrono mezzi, soprattutto finanziari che quasi sempre mancano, tuttavia è importante che le norme ci siano, ed in effetti si assiste a notevoli sforzi, da parte degli operatori penitenziari, per l’attuazione di programmi culturali. Lo “status” di condannato si acquista al momento in cui la sentenza emessa nei suoi confronti diventa definitiva, o comunque passa in giudicato. Il Magistrato competente per l’esecuzione della pena è il Pubblico Ministero, il quale emette l’ordine di esecuzione, e ciò sia per le pene che in dottrina si definiscono “tradizionali”, quali quelle da scontare in carcere, sia per le pene che vanno invece scontate in regime alternativo alla detenzione a seguito di provvedimenti del Magistrato di Sorveglianza, quali l’affidamento in prova al servizio sociale, la detenzione domiciliare, la semilibertà. Se si tratta di pena “tradizionale”, il suo ammontare non superi i tre anni, e non vi sia pericolo di fuga, il Pubblico Ministero indica, nell’ordine di esecuzione, la possibilità per il condannato di richiedere, qualora ne ricorrano i presupposti, l’applicazione di misure alternative al carcere. Il termine entro il quale tali misure possono essere richieste è di trenta giorni. E’ un termine perentorio, nel senso che una volta scaduto senza l’avvenuta presentazione di istanze al Magistrato di Sorveglianza, si schiudono le porte dell’istituto di pena. Per garantire l’effettivo esercizio del diritto alla richiesta di misure alternative, è previsto dal codice di procedura penale che l’ordine di esecuzione debba essere notificato al Difensore del condannato. Si tratta di una disposizione condivisibile, poiché una assistenza tecnica nella delicatissima fase dell’esecuzione è di certo opportuna ed anzi necessaria, considerato che se non si ricorre tempestivamente alla Sorveglianza con una richiesta di sospensione dell’ordine di esecuzione, si finisce in carcere. Comunque, anche prima dell’ordine di esecuzione, ed in particolare quando non ricorrono le condizioni per la sospensione dello stesso, il condannato può sempre costituirsi in carcere, e, principio importante, può recarsi in uno qualunque degli istituti di pena presenti sul territorio nazionale. Le Direzioni di tutti i carceri, infatti, sono obbligate a ricevere chiunque, condannato in via definitiva, si presenti presso il loro istituto per dare esecuzione al provvedimento privativo della libertà. Una volta detenuto, il condannato, nel mentre subisce, come è evidente, l’esecuzione della pena, diventa automaticamente titolare di diritti, fra i quali quello di interloquire con il Magistrato di Sorveglianza e con l’autorità carceraria sulle modalità del trattamento penitenziario. Ha altresì il diritto di proporre istanze, di avanzare opposizioni e impugnazioni, presentare motivi e svolgere le proprie difese sia scritte che orali.
In particolare, possono essere presentate istanze per la concessione di liberazione condizionale o altre misure alternative alla detenzione. Il diritto di iniziativa per la presentazione di tali domande sussiste senza dubbio in capo al detenuto.
2 – continua.
Avv. Stefano Sabatini