Due anni fa, nel 2014, è approdato in Poste Italiane il nuovo management, quello designato dal Governo Renzi. Arrivavano in un’Azienda sana e solida con utili da capogiro da oltre un decennio. Vediamo gli anni della crisi:
1) 2008: utile netto 808 milioni di euro
2) 2009: utile netto 904 milioni di euro
3) 2010: utile netto 1018 milioni di euro
4) 2011: utile netto 846 milioni di euro
5) 2012: utile netto 1032 milioni di euro
6) 2013: utile netto 1005 milioni di euro
7) 2014: utile netto 212 milioni di euro (arriva il nuovo management)
8) 2015: utile netto 502 milioni di euro (con la quotazione in borsa sono raddoppiati gli utili, in effetti sono la metà rispetto a quelli prima del nuovo management).
Praticamente ai nuovi dirigenti è servito un anno prima di capire come funzionava l’Azienda e solo nei primi mesi del 2015 hanno finalmente presentato il piano di sviluppo ventiventi, con scadenza appunto 2020. In quel periodo c’era molto nervosismo in categoria, credo che tutti ricordiamo il video girato a Milano in cui il Segretario della stessa città, Raffaele Roscigno, esterna al nuovo A.D. Caio, anche in maniera abbastanza dura, tutto ciò che succede in Poste, la mancanza di mezzi nel settore del recapito, i tanti sprechi di danaro a cominciare dallo stesso stipendio del gruppo Dirigente di Poste Italiane. Quando poi lo stesso Manager afferma di prendere 1.200.000 euro , partono le contestazioni di tutti lavoratori presenti.
Si apre un dialogo con il nuovo management e si inizia a ragionare sulla situazione di Poste e arrivano i primi accordi, quello del commerciale, del mondo Impresa, sul nuovo modello sportelleria e sulla riorganizzazione del PCL. Abbiamo lavorato molto per arrivare alle giuste rassicurazioni in merito alla gestione degli esuberi, allo stanziamento di forti investimenti, ad una corretta riqualificazione professionale ecc…
In autunno il mondo Impresa è stato riorganizzato, sono partiti i nuovi modelli di ufficio Postale e, dopo aver sciolto la riserva con le assemblee con tutti i lavoratori, si sottoscrive con tutte le OO.SS. la riorganizzazione del PCL, dopo di che Poste Italiane viene quotata in borsa.
Partita la fase sperimentale di riorganizzazione PCL a Febbraio 2016 si dà il via ad un piano di riorganizzazione per provincia. Nel Molise, nel mese di giugno di quest’anno, si avvia riorganizzazione della Provincia di Campobasso. Tuttavia, ovunque si sia introdotta la la consegna a giorni alterni, sono stati aperti conflitti di lavoro, poiché l’Azienda non ha investito in risorse, creando disservizi anche in Mercato Privati, poiché le risorse in eccedenza in PCL non sono state liberate per andare a coprire le carenze di MP.
Successivamente un giornalista intervista l’AD Caio è il 12 Aprile ed il contenuto che segue viene pubblicato su Repubblica:
“Lei parla delle Poste come di un’azienda che ha ormai fatto il salto nella modernità. Eppure un anno fa a Milano veniva contestato da un gruppo di dipendenti, che criticavano il suo operato ed il suo stipendio. Fu una scena cruenta.
“E’ vero, lo ricordo benissimo. Io credo di meritare quello che guadagno, abbiamo realizzato una privatizzazione difficile e ottenuto ottimi risultati finanziari. Quell’episodio è stata una dimostrazione che nell’azienda e intorno ad essa ci sono ancora forze che resistono al cambiamento, perché vedono minacciate abitudini e privilegi che nascono da pratiche opache, interne e del territorio……”
La risposta a questa domanda, fatta per caso, è piuttosto esplicita. Si tratta di una vendetta, una vendetta maturata nel tempo. Una vendetta, perché il sindacalista gli aveva detto in faccia ciò che pensavano tutti i postali. Una vendetta nei confronti del Sindacato. E, in effetti, siamo una anomalia nel mondo del sindacalismo, in nessuna categoria esiste una maggioranza così forte come la nostra, e di questo ne siamo orgogliosi.
Lui nella dichiarazione dice che “nell’Azienda e intorno ad essa ci sono forze che resistono al cambiamento”. Noi che abbiamo voluto il cambiamento che ci siamo portati addosso la croce del rinnovamento, abbiamo portato l’Azienda ad essere il fiore all’occhiello dell’Italia nel mondo.
Lui dice “perché vedono minacciate abitudini e privilegi che nascono da pratiche opache”, e sembra quasi che ci stia dando dei mafiosi. Che intende con pratiche opache? Se c’è qualche che esercita pratiche opache è colui che prende 1 milione e duecentomila euro di stipendio e, come premio di svendita dell’Azienda, ulteriori seicentomilioni di euro.
In questo contesto, regna un clima di confusione in categoria e, come se non bastasse, arriva un’altra notizia: “il governo vorrebbe privatizzare ancora”; cedere un’altra importante quota dopo appena sei mesi non era mai successo; in un anno si rischia di passare il testimone dallo Stato ai privati.
La volontà di collocare sul mercato una ulteriore quota del 35% del capitale, per necessità di cassa del Governo, prefigurerebbe uno scenario desolante: lo Stato e la Società rinuncerebbero al controllo dell’azienda e alla socialità del servizio a danno dei cittadini, dei comuni, delle comunità e della collettività, creando i presupposti per far venir meno l’unicità aziendale. Il futuro di Poste, l’azienda più grande del Paese per numero di lavoratori presenti, seguirebbe quello di altre aziende e, per favorire interessi finanziari, verrà “spacchettata” con pesanti ripercussioni per i lavoratori e per le loro famiglie. Proseguire con la vendita di quote di Poste, in presenza di un attivo di bilancio di 550 milioni, rappresenterebbe un fallimento per il nostro Paese e ci sarebbero migliaia di esuberi da gestire, con costi che verranno scaricati sulle collettività, con l’impossibilità di una vera ripresa e la creazione di nuovi posti di lavoro attraverso lo sviluppo, possibile e realizzabile, delle attività Finanziarie e di quelle nella Logista, Pacchi e Servizi Postali.
Occorre un forte senso di appartenenza e determinazione per far si che le questioni vitali siano garantite; tutti i lavoratori uniti, insieme, dovranno impegnarsi per far sì che siano tutelati sempre i diritti e rispettati gli accordi. E’ arrivato il momento di parlare, di manifestare il proprio dissenso quando necessario e se opportuno. C’è in gioco il nostro futuro.
Da tempo siamo abituati a navigare in mare aperto, ma in questo momento ci accingiamo ad affrontare un ennesimo giro di boa, molto più complicato rispetto ai precedenti, con una virata che si preannuncia particolarmente difficile per l’avversità dei venti e delle correnti. Sicuramente, tuttavia, anche questa volta riusciremo ad approdare ad un porto sicuro. Ricordo a tutti che noi siamo solo e sempre portatori di un interesse diffuso, l’interesse dei lavoratori.
Antonio D’Alessandro segretario Interregionale Abruzzo-Molise