Nei giorni scorsi la struttura commissariale per la Sanità della Regione Molise ha emanato un decreto a nostro avviso illegittimo e contraddittorio (il n. 63/2016), con cui assesta un colpo mortale all’economia regionale. Un decreto che impone un “tetto” per le prestazioni erogate a pazienti provenienti da altre regioni.
Mentre nulla si fa per ridurre la cosiddetta mobilità passiva (pazienti che dal Molise sono costretti ad andare a curarsi in altre regioni), ci si adopera per stroncare quella attiva (pazienti che da altre regioni vengono a curarsi nelle nostre strutture di eccellenza). Una pericolosa operazione che impoverisce la nostra Regione sia dal punto di vista economico che, soprattutto, della qualità delle cure ai suoi cittadini.
Per i non molisani le spese sono a carico delle Regioni di provenienza, e quindi non rappresentano un costo per il Molise, anzi tutto il contrario. Basta una semplice operazione di aritmetica per capire che quanto più facciamo entrare risorse dall’esterno, tanto più si riduce il deficit che sta asfissiando la sanità molisana. Ed è proprio abbassando il deficit sanitario che la Regione può offrire cure migliori ai suoi cittadini. A sottolineare la miopia politica e l’insensibilità sociale di questa operazione, bisogna aggiungere che con essa viene soffocata una realtà di eccellenza, come il Neuromed, che da tempo occupa posizioni primarie a livello italiano e internazionale.
Un paradosso, appunto.
⦁ Normativo, perché non c’è alcun obbligo per la Regione di procedere in questo senso.
⦁ Economico, perché con questo provvedimento le spese restano le stesse e contemporaneamente vengono tagliate le entrate da fuori regione.
⦁ Umano, perché viene negata ai cittadini molisani ed extraregionali la possibilità di essere assistiti da una struttura di eccellenza.
Tre i riferimenti normativi che evidenziano l’incomprensibilità delle scelte della Regione.
1. POS 2015-2018 (Programma Operativo Straordinario)
Il POS 2015-2018, scritto dalla stessa struttura regionale, si prefigge di “ridurre di almeno il 40% la mobilità passiva” (prodotta esclusivamente dal pubblico) e contestualmente “tutelare le eccellenze delle strutture, in particolare nella loro capacità di attrarre pazienti da altre regioni” (quota di mobilità attiva).
Come si può ridurre la mobilità passiva se si effettuano tagli proprio sulle strutture che, per la loro eccellente qualità assistenziale, hanno una elevata capacità attrattiva? È proprio grazie a quest’ultima che il Molise risulta l’unica regione del Sud ad avere un saldo di mobilità positivo. Ma allora viene da chiedersi: la mobilità sanitaria rappresenta un costo o una risorsa? È ovvio che rappresenta una risorsa, la Regione non se n’è accorta?
2. Regolamento 70/2015
Il Regolamento 70/2015 (cosiddetto Decreto Balduzzi) prevede, per le regioni (come la nostra) che hanno un saldo di mobilità positivo, un aumento dei posti letto e non (come preteso dalla Regione Molise) un taglio o limiti alle prestazioni per pazienti da “fuori regione” (pagate ovviamente dalle Regioni di provenienza). In virtù di questa norma il Molise avrebbe diritto a superare lo standard del 3,7‰ (pari a 1164 posti letto). Invece la Regione ha programmato l’assistenza sanitaria per i molisani su 980 posti letto, addirittura tagliandone 11 a Neuromed (di cui 10 di riabilitazione).
3. Legge di stabilità 2016
La stessa Legge di stabilità 2016 (art. 1, comma 574), “al fine di valorizzare il ruolo dell’alta specialità”, ha formalmente autorizzato la deroga ai tetti di spesa, per la “assistenza ospedaliera di alta specialità”, nonché per tutte le “prestazioni erogate da istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS) a favore di cittadini residenti in regioni diverse da quelle di appartenenza”. Queste frasi, da sole, per la loro chiarezza dovrebbero bastare a guidare le scelte di un’amministrazione che avesse a cuore lo sviluppo del territorio e la salute dei cittadini.
Non si comprende come: mentre il nome Neuromed viene spesso citato su televisioni e giornali di tutto il mondo, la Regione che lo ospita, anziché esserne orgogliosa sostenitrice, paradossalmente opera per limitarne le attività.