Partiamo da un assioma democratico nel vero senso della parola: le riforme costituzionali di grande interesse si possono fare solo se sono largamente condivise. Molte Costituzioni europee ed extraeuropee sono rimaste praticamente le stesse da secoli e nessuno si è mai sognato di cambiarle a colpi di maggioranze esigue e striminzite. Probabilmente la modifica della Costituzione (e anche della legge elettorale) più necessaria sarebbe quella di prevedere una maggioranza di almeno 2/3 dei parlamentari per le eventuali nuove riforme. Oggi non resta che mobilitare le persone in vista del futuro referendum, che il presidente del Consiglio promuove come fosse una sua iniziativa. Renzi sottoporrà la riforma al popolo perché la approvi, in caso contrario, si dimetterà. La personalizzazione di un referendum costituzionale è una mistificazione giuridica e reale. Non è questo il senso istituzionale di un referendum costituzionale. L’istituto referendario in questi casi è stato concepito per rafforzare la rigidità della Costituzione impedendo alla maggioranza di cambiarla da sola senza il contributo di tutti. O la riforma è approvata da entrambe le Camere con la maggioranza dei due terzi – vale a dire con il concorso delle minoranze – oppure la legge, pubblicata per conoscenza, è sottoposta a referendum qualora entro tre mesi “ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali”. Se nessuno chiede il referendum, trascorsi tre mesi la legge costituzionale viene promulgata, pubblicata ed entra in vigore. Interessato a chiedere il referendum dovrebbe essere chi è contrario ai contenuti della riforma, allo scopo di impedirne l’entrata in vigore. L’art. 138 se letto con attenzione non si presta a equivoci di sorta. Il referendum, a mio giudizio, è un obbligo nel caso in cui la riforma non ha coinvolto le minoranze, per consentire a chi non è d’accordo di addurre le proprie ragioni ed eventualmente farle prevalere con l’ausilio del popolo sovrano. Non dobbiamo neanche dimenticarci che la Costituzione sta per essere cambiata da parlamentari eletti con un sistema elettorale (Porcellum) dichiarato palesemente incostituzionale dalla Consulta. La nuova legge elettorale che entrerà in vigore nel 2016 e che presenta non pochi elementi di incostituzionalità rappresenta un percorso che porta di fatto all’elezione diretta del premier. Quando si arriva al ballottaggio (per il quale non c’è quorum, e dunque le due liste più votate partecipano a prescindere dal seguito elettorale che hanno avuto), l’elettorato deve necessariamente schierarsi a favore di uno dei contendenti e chi vince si prende tutto. È una forma d’investitura popolare per chi guida il governo; un discorso non nuovo che precede Renzi di molti anni: le elezioni come strumento non tanto per eleggere il Parlamento, ma per scegliere e investire un governo e il suo Capo. Tutto questo si farà senza che a una simile trasformazione si accompagnino i contrappesi indispensabili in una democrazia costituzionale. Io voterò NO perché sono italiano e amo l’Italia.
Riforme e Referendum costituzionale. Il giurista Musacchio: in gioco c’è la Costituzione del 48
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