Il jobs act di Renzi costituisce un attacco di inaudita violenza alla dignità del lavoro e ai diritti dei lavoratori: viene cancellato l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori (già ampiamente depotenziato da una modifica introdotta da Monti e Fornero), che tutela il lavoratore in caso di licenziamento ingiusto o ingiustificato; viene data la possibilità al datore di lavoro di utilizzare, con atto unilaterale, “per ragioni organizzative”, il lavoratore in mansioni inferiori a quelle per le quali è inquadrato, con conseguente decurtazione del salario; viene consentito all’azienda di esercitare la videosorvegliaza sul lavoratore (cioè di spiarlo). Con tali provvedimenti i diritti garantiti dalla Costituzione vengono sospesi nei luoghi di lavoro e si fa fare al Paese un bagno di “modernità”, tornando a prima del 1970, anno di approvazione dello Statuto dei lavoratori. Oltre a questo, si dà delega al governo di emanare norme circa la istituzione, per i neoassunti, di un “contratto a tutele crescenti” che operi nell’arco di un triennio. Non è dato saperne di più, ma è facile indovinare che si tratterebbe, per il giovane lavoratore, di una dilatazione a dismisura del “periodo di prova” e, quindi del periodo in cui si può esercitare su di lui l’arbitrio assoluto del padrone.
Questo complesso di misure sul mercato del lavoro, assieme alle altre previste nel decreto “SbloccaItalia” relative alle privatizzazioni, alle grandi opere, all’uso del suolo e alla politica dell’energia e delle infrastrutture, configurano chiaramente uno scenario da shock economy: il protrarsi e l’aggravarsi della crisi, la frantumazione e la disperazione sociale che ne conseguono fanno apparire come necessarie, accettabili, talvolta persino auspicabili scelte che oggettivamente provocano disagio, sofferenza, impoverimento e perdita dello statuto di cittadini da parte di larghe masse. A ciò Renzi aggiunge, da vero leader di destra (non contrastato in questo dalla grande stampa né dagli “intellettuali” mainstream), l’uso ossessivo del registro demagogico, tendente ad occultare le vere cause della crisi e il conflitto che oggettivamente contrappone le grandi masse espropriate di tutto alla ristretta élite dei detentori di capitale, per alimentare la guerra tra i poveri: giovani contro vecchi, “garantiti” contro non garantiti, autoctoni contro immigrati, lavoratori del privato contro lavoratori pubblici. In ciò facendosi addirittura paladino dell’uguaglianza: un’”uguaglianza” in cui tutti siano poveri e schiavi.
Il Partito della Rifondazione Comunista del Molise sarà presente e sosterrà tutte le iniziative di mobilitazione volte a creare un fronte sociale ampio contro la gestione neoliberista della crisi e a porre le premesse per la costruzione, nel fuoco della lotta, di un soggetto politico unitario della sinistra. E’ necessario dar vita ad un autunno caldo che riapra la strada ad un processo democratico di radicale cambiamento della politica economica e sociale, a partire dalla caduta del governo Renzi e del suo succedaneo locale, la giunta Frattura.
Partito della Rifondazione Comunista
Comitato Regionale del Molise
Il segretario-Silvio Arcolesse