“L’articolo 131 della Carta Costituzionale, con estrema chiarezza, indica il numero delle Regioni Italiane e le individua con il proprio nome; il successivo articolo, il 132, con altrettanta nitidezza, specifica come solo tramite un processo straordinario, di rango, appunto, costituzionale, può essere mutato tale numero, sulla base di motivazioni chiare e forti. Questi articoli non sono estemporanei, ma sono il frutto di un ragionamento attento, metodico, coerente e illuminato che i Padri Costituenti, di ogni forza politica, fecero, pensando ad un regionalismo organicamente strutturato sui territori, capace di leggerne i bisogni, sia piccoli che grandi, e in grado di rappresentarne evidenze culturali, strutturali, demografiche ed economiche. Il tutto in una logica di solidarietà e di sussidiarietà rispetto agli altri organi della Repubblica. L’art. 132 è stato applicato in forma estensiva del numero delle Regioni solo per il Molise, riconoscendo come noto, con ben quattro letture tra Camera e Senato, il suo diritto ad esistere come entità istituzionale oltre che geografica e storica. Diritto negato ad altre realtà con ragioni diverse, ma molto puntuali e razionali. L’Ordine del Giorno votato qualche giorno fa in Senato, che come si legge dal sito della stessa Assemblea parlamentare, ha visto diviso anche il Partito del proponente, dunque non può che essere letto semplicemente come un invito a far si che realtà più piccole lavorino insieme per meglio giungere ad un risultato di efficacia ed efficienza delle funzioni ad esse dedicate. Diversamente si porrebbe in contraddizione con il percorso di riforme fino ad oggi fatto, precindendo da ogni altra valutazione di merito. Va infatti tenuto presente che lo stesso provvedimento, che è solo un’espressione di volontà politica di un ramo del Parlamento, è stato votato mentre il medesimo Legislatore, agendo in un percorso questa volta molto più impegnativo in quanto costituzionale, stava votando, in terza lettura, la riforma della II parte della Costituzione, e, giunto alla parte relativa al Titolo V, l’articolo 30 della Legge costituzionale di riforma, confermava quanto espresso nelle due precedenti letture, laddove si prevedeva che le Regioni per il migliore espletamento delle funzioni potevano stringere anche accordi tra loro individuando anche organi comuni per quelle specifiche finalità. La riforma all’esame del Senato, oggetto di un serrato confronto con le Regioni che ne contestano diversi punti, non mette mai in discussione la strutturazione dell’assetto politico-geografico ed istituzionale del territorio nazionale, incluso ovviamente il numero e la definizione territoriale delle Regioni. Un assetto, come per il nostro Molise, frutto di un lungo, ampio ed approfondito dibattito di notevole levatura culturale, politica ed istituzionale, teso a garantire ad ogni realtà territoriale il diritto dovere a scrivere le proprie linee di crescita e sviluppo. Condizione questa che ci ha permesso di riaffermare la nostra identità culturale e di essere artefici, come popolo e territorio, di uno sviluppo economico e sociale mai prima conosciuto. Un basilare diritto, dunque, che dobbiamo difendere e che come Presidente del Consiglio, a nome anche di tutti i suoi componenti, attuali e del passato, mi sento di ribadire e di voler tutelare essendo un “bene” importante che ci è stato tramandato e che abbiamo il dovere di proteggere e lasciare ai nostri figli. Rimane, comunque, l’assoluta necessità di raccogliere, come in parte già si sta facendo, la sfida di collaborare insieme ad altre regioni per migliorare le prestazioni dei servizi ai cittadini e per raggiungere economie di scala che non sacrifichino però né i diritti singoli che quelli collettivi delle Regioni e dei territori che sono chiamati dalla Costituzione italiana, ma anche da logiche organizzative europee a governare e amministrare liberamente secondo la volontà dei rispettivi abitanti”.
Lo ha detto il Presidente del Consiglio Regionale del Molise, Vincenzo Niro, commentando l’Ordine del Giorno approvato dal Senato lo scorso 8 ottobre, che “impegna il Governo a considerare, prima dell’entrata in vigore della legge di revisione costituzionale, l’opportunità di proporre la riduzione delle Regioni ad un numero non superiore a dodici”.