L’autofagia (letteralmente “divorare sé stessi”) è uno dei più importanti meccanismi attraverso i quali le cellule si rinnovano ed eliminano componenti non più funzionanti. Riciclano materiali, insomma. Fino a oggi si riteneva che esistessero due distinti processi, ognuno deputato a eliminare elementi specifici. Ora una ricerca del Laboratorio di Neurobiologia dei Disturbi del Movimento dell’I.R.C.C.S. Neuromed di Pozzilli(IS) mostra come in realtà le due strade giungano ad un unico componente cellulare (organello): l’autofagoproteosoma.
Lo studio, pubblicato sulla rivista scientifica Frontiers in Neuroanatomy, rappresenta il culmine di una serie di ricerche recenti che, condotte dallo stesso laboratorio, hanno gradualmente portato all’idea di questo organello, il cui nome è stato coniato proprio dai ricercatori Neuromed. E’ un nuovo modo di vedere l’autofagia, un meccanismo di “pulizia” che si attiva quando mancano sostanze nutrienti oppure quando ci sono componenti cellulari ormai non più funzionanti. Un meccanismo, però, la cui alterazione è alla base di una serie di patologie, dai tumori alle malattie cardiovascolari alle malattie neurodegenerative.
Nel corso degli ultimi dieci anni – spiega il professor Francesco Fornai,docente di Anatomia nell’Università di Pisa e Responsabile dell’Unità di Neurobiologia e dei Disturbi del Movimento dell’I.R.C.C.S. Neuromed – il concetto di base era che esistevano due vie indipendenti: una denominata specificamente autofagia (ATG), e l’altra definita ubiquitina-proteosoma. I nostri dati recenti, però, ci hanno fatto vedere come i due processi convergano verso questo unico organello, che emerge come il punto finale di tutto il processo. Qui troviamo che i due sistemi molecolari destinati all’autofagia coesistono e interagiscono tra loro, creando un complesso e sofisticato apparato di pulizia”.
Lo studio del Neuromed rappresenta un passo in avanti importante verso una maggiore comprensione dell’intera sequenza di riciclaggio delle proteine e dei componenti cellulari. Una conoscenza fondamentale alla luce delle ultime osservazioni, che mostrano come i difetti nei processi autofagici siano cruciali nella nascita e nella progressione di patologie molto gravi a carico di diversi organi. Come nel caso di alcune malattie neurodegenerative, che oggi si ritiene siano in parte causate da difetti proprio nel sistema di “pulizia” di determinate proteine anomale.
“Facciamo l’esempio della sclerosi laterale amiotrofica. – continua Fornai – In quel caso osserviamo un problema nel movimento delle vescicole cellulari che trasportano le proteine da riciclare. In altre malattie troviamo invece deficit negli enzimi destinati a degradarle. Come hanno scritto recentemente nel titolo di un lavoro scientifico, è come se l’azienda di pulizie entrasse in sciopero nelle cellule. Conoscere meglio l’intero processo, come ora possiamo fare grazie anche all’identificazione del’autofagoproteosoma, significa identificare le singole parti coinvolte, con la possibilità di individuare prospettive farmacologiche”.
Indurre le cellule nervose malate a migliorare il proprio sistema interno di riciclaggio, oppure, al contrario, bloccare questo processo nelle cellule tumorali in modo da renderle più vulnerabili alla chemioterapia. Le prospettive sono molto ampie, anche se saranno necessari ulteriori studi per trovare i punti cruciali del sistema sui quali intervenire. Proprio per facilitare l’avanzamento di questi studi, il professor Fornai e i suoi ricercatori hanno partecipato alla realizzazione delle nuove linee guida internazionali destinate a standardizzare le ricerche nel campo dell’autofagia. E in queste linee guida compare a pieno titolo ’autofagoproteosoma.