Il vivace dibattito sulle ragioni del Si o del NO alla riforma costituzionale, non può prescindere da qualche considerazione di carattere storico politico, che non mi è parso di leggere nella propaganda delle contrapposte posizioni. La Costituzione costituisce l’epilogo di un processo conseguito ad una guerra persa ed alla rivoluzione civile che divise il Paese conclusasi con il referendum istituzionale e l’elezione dell’assemblea costituente. La Carta costituzionale è stata opera di una delicata mediazione di una classe politica che fu capace di ottenere un sostegno fiduciario popolare quasi illimitato e convinto, anche per il suo alto profilo morale e culturale.
I padri costituenti optarono per un modello di società fondato sui valori di libertà, di uguaglianza e di controllo delle dinamiche economiche, funzionali alle esigenze sociali dell’epoca.
Le “due parti” della Costituzione dovevano assicurare pertanto, da un lato i principi fondamentali e gli obblighi programmatici; dall’altro i sistemi e gli organi di bilanciamento dei poteri con previsione dei processi di garanzia e di revisione costituzionale.
Gli elementi fondanti di tale visione garantista si concretizzarono essenzialmente: a) nella rigidità delle procedure di revisione; b) nella indipendenza della Magistratura; c) nella integrazione organica tra democrazia diretta (referendum) e democrazia indiretta ( rappresentanza). Vi era la necessità di chiudere una frattura storica e su questi tre punti le culture della sinistra di classe e quella cattolica democratica trovarono una giusta intesa.
Dall’inizio degli anni 90 l’Italia si è trovata immersa nella complessiva crisi mondiale, ma con due problemi in più: il superamento dei partiti tradizionali che erano i veri garanti della Costituzione e la cd questione morale, utilizzata per giustificare un sistema sempre più fuori controllo, ove convivevano e convivono contraddizioni evidenti: la sinistra di opposizione contro quella di Governo; la destra contro il suo stesso passato; il capitalismo assistito contro quello competitivo; il lavoro garantito contro il precariato. In questo scenario si sono mosse le forze politiche ( o quello che è restato dei partiti politici) ,scegliendo la strada delle leggi elettorali a base maggioritaria e la supina acquiescenza al vincolo estero, lasciando quindi spazio ad una oggettiva erosione della sovranità nazionale. Le leggi elettorali sono state concepite per garantire “stabilità” ai Governi, diventati anch’essi però precari in un gioco di scomposizione e ricomposizione dei partiti politici.
Quanto accaduto è sotto gli occhi di tutti: non solo non vi è stata alcuna stabilità nei Governi, ma , ciò che è più preoccupante, si sono gettate le basi per passare da una Costituzione rigida ad una flessibile
Gli odierni sistemi elettorali consentono di fatto a maggioranze relative sempre più risicate di elettori di esprimere maggioranze assolute alla Camera ed al Senato della Repubblica con la conseguente concreta possibilità di cambiare le regole ed i principi costituzionali secondo le opinioni o peggio ancora le convenienze dei “vincitori “. La tutela del carattere “rigido” della Costituzione diventa di fatto il presidio più forte per evitare che la Carta possa diventare strumento in mano della sola coalizione vittoriosa.
Per tale ragione in quasi tutte le grandi democrazie si ritiene che le leggi di revisione debbano essere il prodotto di larghe convergenze fra maggioranza ed opposizione, al fine di assicurare e garantire la esigenza di stabilità ed il ruolo dei diritti e delle libertà di tutti, minoranze comprese.
Se questa è la prospettiva, La riforma che viene proposta oggi è inutile, dannosa e fuorviante.
Inutile, non solo perché circa l’80% delle nostre leggi è di derivazione comunitaria e come tale sottratta al giudizio di costituzionalità in forza dell’art 11, ma soprattutto perchè per la semplificazione del processo legislativo e la eliminazione del parlamentarismo basterebbe intervenire sul regolamento della Camera dei Deputati, senza necessità di ulteriori modifiche costituzionali.
La riforma è dannosa, perché fa passare il principio che le modifiche costituzionali possono essere chieste dal Governo con la procedura dell’art 138.
Questo principio costituisce un evidente vulnus e, laddove incrociato ad una legge elettorale maggioritaria, romperebbe la rigidità del sistema Costituzionale, scardinando di fatto anche la difesa dei principi della prima parte della Costituzione .
E’ fuorviante, perché gli argomenti addotti sono privi di consistenza giuridica : non si può invero confondere gli sprechi da eliminare con il costo della democrazia da difendere, così come non si può ignorare che il problema della riduzione del numero dei parlamentari non è quantitativo ,ma soprattutto qualitativo. Quanto alla velocità delle decisioni si osserva che il processo legislativo ha necessità di attenta riflessione e non solo di speditezza e che comunque quando si è voluto, il percorso legislativo parlamentare si è consumato in tempi brevissimi.
Temo francamente che gli argomenti ed il linguaggio populista di questa campagna elettorale coprano, in realtà, il rifiuto di varare una vera ed organica riforma della Costituzione che assicuri e concili i principi irrinunciabili di democrazia e di libertà con una larga partecipazione alle decisioni e che sappia regolare la cessione di sovranità ad organismi sovranazionali fissando criteri per l’adesione, le condizioni di permanenza e di recesso.
Siamo ad un appuntamento con la storia di questo Paese, non possiamo mancarlo.
Si consenta al popolo italiano di esprimersi liberamente; si elegga una assemblea costituente; si proponga un progetto organico di riforma che dia a tutti stabili garanzie ,perché in ultima analisi è in gioco proprio la democrazia e la libertà della Nazione.
Oreste Campopiano