Se da un lato il nostro Ordinamento punisce chi commette il reato, indistintamente e a prescindere dai motivi che lo abbiano spinto a delinquere, dall’altro analizza e statuisce delle regole speciali per chi abbia agito a seguito di una “provocazione”.
In tale evenienza, infatti, sarebbe ingiusto punire il reo allo stesso modo di colui che delinque per pura malvagità.
Il codice penale ha individuato l’ipotesi della provocazione quale circostanza attenuante comune e l’ha inserita nel dettato dell’articolo 62, n. 2, c. p., che prevede, quale circostanza attenuante, appunto, l’aver agito in stato di ira, determinato da un fatto ingiusto altrui.
Atteso ciò, alla luce della norma, la sanzione penale comminata a seguito di una provocazione è attenuata rispetto a quella prevista in assenza di tale circostanza.
Inoltre, se normalmente la provocazione assume la qualifica di circostanza attenuante comune, in alcuni casi specifici scrimina addirittura il reato.
E’ il caso della diffamazione.
L’art. 599 c. p., infatti, prevede la non punibilità per chi abbia commesso alcuno dei fatti preveduti dall’articolo 595 (diffamazione) nello stato d’ira determinato da un fatto ingiusto altrui, e subito dopo di esso”.
Ciò vuol dire che chi diffama il prossimo a seguito di una provocazione non può essere punito dal nostro Ordinamento.
Naturalmente, questo principio soggiace a delle regole e i presupposti necessari affinché operi in un caso concreto, sono tre:
lo “stato d’ira”, ossia una situazione psicologica caratterizzata da un impulso emotivo incontenibile, da cui deriva la perdita dei poteri di autocontrollo;
il “fatto ingiusto altrui”, costituito da un comportamento illecito congiunto all’inosservanza delle regole della civile convivenza;
il “rapporto di causalità psicologica tra l’offesa e la reazione”, che deve essere solido ed immediato.
Se ad esempio la reazione avviene “a scoppio ritardato”, la condotta non sarà più ritenuta giustificata e il diffamatore verrà sanzionato.
La stessa Cassazione, a tal proposito, ha stabilito che, ai fini del riconoscimento dell’esimente della provocazione nei delitti contro l’onore, il passaggio di un lasso di tempo considerevole può assumere rilevanza al fine di escludere il rapporto causale e riferire la reazione ad un sentimento differente, quale ad esempio l’odio o il rancore.
Nel caso in questione, la Suprema Corte di Cassazione, Sez. V, con sentenza n. 7244 del 2016, ha ritenuto sussistente lo stato d’ira per le offese pronunciate all’indirizzo della persona offesa lo stesso giorno della condotta provocatoria, a seguito di un incontro casuale in strada, ma non per le dichiarazioni diffamatorie rese ai giornali il giorno dopo, le quali, persa la natura di sfogo immediato per l’ingiustizia subita, avevano assunto la veste di mera ritorsione vendicativa.
Avv. Silvio Tolesino