Leggo in questi giorni della proposta di reddito di residenza attiva, tratteggiata anche sulla stampa nazionale come una misura capace di combattere il fenomeno dello spopolamento dei piccoli centri.
Proprio di questo si è parlato nella due giorni promossa dal Comune di Capracotta, dove istituzioni e massimi esperti e studiosi del fenomeno si sono confrontati alla ricerca di soluzioni reali e concretamente perseguibili.
Ebbene, nessuno si è sognato di elogiare l’iniziativa, promossa dall’ottimo Antonio Tedeschi, amico e Consigliere regionale a cui va fatto un plauso per il suo l’attivismo politico, ma che questa volta non mi trova d’accordo.
Perché questa misura, approvata dalla Regione Molise e di prossima pubblicazione sul Burm, sortirà molto probabilmente un effetto contrario alle ottime intenzioni dei proponenti, diventando un boomerang per le aree interne. O la si sostiene in modo strutturale in un disegno organico e con notevoli risorse o finisce per essere soltanto una promessa di ripopolamento non mantenuta.
Da una prima valutazione, infatti, la misura del reddito di residenza sembrerebbe riguardare un numero davvero esiguo di beneficiari, tanto da non potersi nemmeno considerare una sperimentazione: 60 per il 2019, soltanto 20 se i fondi totali valgono per l’intero triennio. Sempre in attesa dell’implementazione dei fondi, per ora solo annunciata per gli anni a venire.
Fugato questo dubbio, resta poi quello della disparità di trattamento rispetto a coloro che, senza alcun aiuto, continuano a “resistere”, risiedere e lavorare in queste piccole realtà, nonostante dovrebbero essere i primi ad essere aiutati. Magari attraverso una detassazione totale delle imprese artigiane e commerciali, vecchie e nuove, così come da tempo vado sostenendo insieme all’Anci nazionale. E giova ricordare che, con l’Associazione nazionale dei Comuni, nel prossimo ciclo di programmazione dei fondi europei si è riusciti a destinare alle aree interne il 5% del Fesr (1,5 miliardi di euro che con il cofinanziamento arriveranno a 3!) grazie ad una proposta avanzata per la prima volta proprio a Campobasso, nel corso del seminario nazionale dell’ottobre 2018, poi votata all’unanimità dall’intero Parlamento europeo.
Dunque, ancora una volta ci si trova davanti ad un sistema regione che non riesce a produrre organicità e coordinamento sul tema delle aree interne, priva anche del necessario raccordo con la proposta di legge sulle aree interne proposta da Andrea Di Lucente. E ancora, non si inserisce nelle misure organiche della Strategia Nazionale delle Aree Interne di cui ha parlato proprio a Capracotta, finalmente in modo positivo, il presidente Toma.
Per esempio, stessa somma non potevamo impegnarla per la riduzione del costo del metano nei paesi più freddi, come insieme ci siamo già impegnati a fare in Consiglio? Cosa significa questo? Che se non c’è un coordinamento per gli interventi che in Molise riguardano le aree interne, avremo solo enunciazioni e microaiuti boomerang e nessuna ricaduta effettiva e duratura. Anzi, l’effetto opposto. Perché occorre una regia unitaria. Occorrono obiettivi chiari e strumenti conseguenti.
Ben venga anche una seria valutazione del reddito di residenza, ma in una cornice organica e strutturale. Altrimenti, ancora una volta, avremmo generato aspettative che una volta disattese aumenteranno e non diminuiranno il senso di abbandono. Si preveda, invece, una delega politica unica in Regione sul tema dei piccoli comuni e da lì discendano, sotto una strategia unitaria, testi di legge e finanziamenti.
Lo spirito è quello giusto, la buona volontà c’è, tutto il resto, però, è ancora da mettere in campo.
Micaela Fanelli