Legambiente torna sul progetto di Enel Green Power denominato “Pizzone II” che prevede l’ampliamento della centrale idroelettrica di Pizzone, in provincia di Isernia. Lo fa presentando oggi, in conferenza stampa a Campobasso, insieme a Legambiente Molise e Legambiente Abruzzo, un documento che raccoglie le sue osservazioni sul progetto Pizzone II su cui Enel ha presentato istanza per l’avvio del procedimento di VIA, procedimento poi sospeso su richiesta della stessa azienda.
In premessa l’associazione ambientalista sottolinea l’importanza dei sistemi di pompaggio come fonte di accumulo per l’energia elettrica per raggiungere gli obiettivi della transizione ecologica e attuare il Green Deal Europeo anche nel nostro Paese, raggiungendo la neutralità climatica entro il 2050 e un traguardo climatico intermedio di una riduzione netta delle emissioni di gas a effetto serra di almeno il 55% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2030. Ma questo progetto presenta troppe criticità sintetizzate da Legambiente in undici punti generali per dire cosa non va, cosa è insostenibile e cosa è stato sottostimato, senza dimenticare le ricadute negative socio economiche che tale progetto avrebbe sul territorio, e rendere il progetto compatibile con il contesto territoriale e ambientale in cui si vuole realizzare.
In particolare, tra le osservazioni sintetizzate nel documento, l’associazione ambientalista fa presente che il progetto Pizzone II riguarda “nuove opere che si affiancheranno a quelle esistenti che resteranno in esercizio. Il dimensionamento delle opere non tiene conto della capacità del contesto territoriale di non subire alterazioni significative. Sarebbe opportuno dimensionare l’impianto in base al limite di variazione idrica prescritto e/ definito in base alle esigenze di conservazione del territorio e/o non aggravare le sollecitazioni sulle infrastrutture degli impianti esistenti (dighe in particolare) che possono causare le operazioni di svaso e invaso giornalieri molto ampi. Inoltre ad oggi è stato sottostimato l’impatto del disturbo sulle attività antropiche, sulla fauna selvatica e in particolare sull’orso bruno marsicano; l’interferenza con il reticolo idrografico sotterrane. Andrebbe poi approfondita la possibilità che gli scavi possano intercettare la faglia N-S presente in questa zona”. Alla luce di tutto ciò Legambiente chiede anche ad Enel di valutare la possibilità di ammodernare il vecchio impianto scartando l’idea della realizzazione del nuovo impianto.
Inoltre da Campobasso l’associazione ambientalista lancia un appello chiedendo più dibattito pubblico e coinvolgimento dei cittadini nei processi decisionali dei territori, non solo nella ricerca delle strategie da attuare per il raggiungimento degli obiettivi climatici, ma anche nella realizzazione e individuazione dei siti dove gli impianti andranno collocati. Nella scelta delle compensazioni e nella loro valorizzazione. E sul caso Pizzone II l’associazione ambientalista propone l’istituzione, in tempi brevi, di un tavolo di confronto interregionale che coinvolga anche le comunità locali, le aree protette e le diverse realità territoriali e associative.
“Oggi la decarbonizzazione del sistema energetico italiano – commenta Antonio Nicoletti, responsabile nazionale aree protette e biodiversità di Legambiente – passa anche per l’idroelettrico e i sistemi di pompaggio, ma devono essere studiati e progettati bene integrandosi con il territorio. Sul caso Pizzone II non siamo contrari a prescindere ma siamo convinti che ci sono diverse criticità, che abbiamo riassunto nelle nostre undici osservazioni, che vanno assolutamente affrontate. Il territorio in questione, parliamo del versante molisano del Parco D’Abruzzo, Lazio e Molise, è uno dei più delicati in termini di ecosistemi e biodiversità e tra le zone più importanti dell’Appennino centrale. Per questo è fondamentale che si avvii un tavolo di confronto interregionale con le comunità locali, le aree protette, le associazioni e chi vive il territorio. Non dimentichiamo che la previsione di 5 anni di lavoro per realizzare le opere è insostenibile rispetto alla fragilità del contesto in cui si interviene”.
“Un progetto di tale portata come quello di Pizzone II – dichiarano Andrea De Marco e Giuseppe Di Marco, rispettivamente presidente di Legambiente Molise e Legambiente Abruzzo – se non correttamente dimensionato rischia di portare più danno all’ambiente rispetto ai benefici che può portare in termini di riduzione delle emissioni climalteranti. Per tali ragioni per essere realizzato devono essere risolte le criticità che sono emerse. Siamo convinti che l’idroelettrico ed i sistemi di pompaggio come fonte di accumulo per l’energia elettrica rappresentano una soluzione importante e fondamentale per decarbonizzare e mettere in sicurezza il sistema energetico italiano, e finalmente sostituire quello che, in parte, attualmente viene fatto per mezzo delle turbogas, utilizzate attraverso la combustione del gas fossile per bilanciare la rete. Una soluzione non più idonea ad affrontare l’emergenza climatica sempre più pressante nei nostri territori – 23 gli eventi climatici estremi che negli ultimi 13 anni hanno colpito l’Abruzzo (media 1,7 l’anno), 6 quelli avvenuti in Molise (media di uno ogni due anni) – ma neanche utile ad affrontare le sfide attuali come la crisi energetica, la dipendenza dalle fossili e da accordi internazionali e i costi energetici. Impianti come questi, fatti bene, nel nostro Paese, insieme agli accumuli elettrochimici avranno e devono avere un ruolo fondamentale nella transizione energetica e nel raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione. Studiandoli e progettandoli ben integrati nei territori”.
Salvaguardia Habitat: Tra le criticità presenti legato al progetto Pizzone II, la più importante riguarda la tutela e la salvaguardia degli habitat presenti all’interno del versante molisano del PNALM, che oltre ad essere Parco, fa parte della rete Natura 2000 ed è una Important Bird Area (IBA). L’area di Pizzone è un territorio in cui la presenza dell’orso bruno marsicano è diventata oramai stabile, e l’intera alta valle del Volturno potrebbe essere il luogo in grado di permettere l’ampliamento dell’areale del plantigrado verso il futuro Parco Nazionale del Matese. Come previsto dall’ISPRA che nell’ipotesi di perimetrazione di quest’ultimo ha previsto la realizzazione di un corridoio di collegamento tra le due aree protette proprio nella valle del Volturno. È un dato inequivocabile che le aree naturali favoriscano lo spostamento della fauna selvatica, come dimostra la presenza dell’orso negli scorsi giorni nel territorio di Capracotta. La realizzazione di questo progetto porterebbe nella zona individuata una grossa mole di sollecitazioni rumorose, oltre che emissioni di polveri e di inquinanti da motori a combustione impegnati come dichiarato tra altro da Enel nello studio di impatto ambientale, che renderebbero quasi impossibile la permanenza dell’orso nell’area, e di conseguenza vanificherebbe l’idea del corridoio tra i due parchi nazionali. Sebbene nel progetto sia specificato che nei casi di accertata presenza di orsi nelle aree di cantiere verrebbe riorganizzato il cronoprogramma dei lavori in base alla stagione degli accoppiamenti della specie e al periodo di allattamento questo rischia di non essere sufficiente per la salvaguardia dell’orso.
Più dibattito pubblico: Legambiente ha poi oggi ricordato che sul progetto in questione non è stata garantita una partecipazione attiva preliminare dei cittadini, ma neanche la possibilità di presentare le opportune osservazioni, visto che la presentazione del progetto e la scadenza per le osservazioni sono ricadute proprio nel periodo dell’anno non molto favorevole, essendo perlopiù corrispondente alle tradizionali ferie estive. Per questo l’associazione ha chiesto, come già fatto dal Sindaco di Castel San Vincenzo, la riapertura dei termini per la presentazione delle osservazioni e un coinvolgimento di tutti i portatori di interesse, da parte di Enel, non solo per meglio conoscere il progetto ma anche per lavorare e superare insieme le criticità.
A seguire gli 11 punti sollevati da Legambiente sul progetto Pizzone II.
1. Il progetto propone la modifica/potenziamento con il riutilizzo dei due bacini esistenti di Montagna Spaccata e di Castel San Vincenzo, la realizzazione di nuove condotte di derivazione e opere di sfruttamento idroelettrico con pompaggio in affiancamento a quelle esistenti. L’intervento di cui si chiede l’autorizzazione prevede di convertire lo schema idroelettrico tradizionale esistente in un nuovo impianto di pompaggio/generazione preservando i due bacini. Si tratta, a nostro avviso di nuove opere che si affiancheranno a quelle esistenti che resteranno in esercizio. Di un ampliamento con nuove opere realizzate in parallelo, e per la gran parte in caverna o attraverso scavo di circa 10 km.
2. Il dimensionamento delle opere è stato fatto sulla base dei volumi utili disponibili nei due bacini e considerando il limite di rete del 5% imposto in produzione e l’esigenza di risollevare in 8h 2.200.000 m3/giorno, e non secondo altri parametri come la capacità del contesto territoriale di non subire alterazioni significative.
3. L’esercizio della nuova centrale determinerà una variazione giornaliera dei livelli idrici del bacino di Montagna Spaccata per 6,5m e di Castel San Vincenzo di 4,85m. Sarebbe opportuno dimensionare l’impianto in base al limite di variazione idrica prescritto e/ definito in base alle esigenze di conservazione del territorio e/o non aggravare le sollecitazioni sulle infrastrutture degli impianti esistenti (dighe in particolare) che possono causare le operazioni di svaso e invaso giornalieri molto ampi.
4. La previsione di 5 anni di lavoro per realizzare le opere è insostenibile rispetto alla fragilità del contesto in cui si interviene.
5. Per le opere fuori terra di carattere temporaneo (es. aree di cantiere) e per quelle definitive (strade di accesso, manufatti e linee di collegamento aeree) le valutazioni di progetto sono inadeguate e insufficienti
6. Per le opere sotterranee è sottostimato l’impattodel disturbo alla fauna terrestre e l’interferenza con il reticolo idrografico sotterraneo, e deve essere approfondita la possibilità che gli scavi possano intercettare la faglia N-S presente in questa zona.
7. La valutazione di impatto acustico considera nelle aree di cantiere un valore limite di immissione di 70dB che appare sottostimato considerato che si lavora in prossimità di aree abitate e anche in ore notturne. Tale valutazione complessiva non tiene conto del disturbo che le attività, comprese quelle sotterranee, provocano alla fauna selvatica e all’orso bruno marsicano in particolare.
8. La realizzazione del progetto crea interferenze con le attività antropiche esistenti con ricadute negative socio economiche per il territorio. In particolare per le attività turistiche lacustri poiché, nella fase di esercizio del nuovo impianto, i due bacini saranno sottoposti a variazioni giornaliere del livello idrico (6,5m per Montagna Spaccata e 4,85m per Castel San Vincenzo) che comporterà limiti alle attività turistiche che per motivi di sicurezza non potranno essere mantenute.Una perdita per le comunità locali che subiranno un impatto negativo, significativo e definitivo per le attività turistiche che verranno azzerate, e non saranno di certo bilanciate dall’aumento delle presenze antropiche nella fase di cantiere. Anche per questa ragione il dimensionamento dell’impianto deve essere ben ponderato e deve rispettare non solo le esigenze produttive, ma anche quelle ambientali e sociali.
9. Durante la fase di cantiere ci sarà una intensificazione del traffico a causa, in particolare, della movimentazione delle terre e rocce di scavo originate dalle opere interrate. L’utilizzo della viabilità ordinaria da parte dei mezzi di cantiere determinerà un’interferenza sulle attività economiche e le dinamiche antropiche con aumento del disturbo acustico.
10. La realizzazione dell’opera comporta consistenti volumi di scavo in sotterraneo in roccia per le nuove gallerie, pozzi, centrale elettrica e accessi. Si tratta in complesso di una stima di 975.000 mc di materiale scavato con esplosivo o in maniera meccanica che deve essere gestito o reimpiegato nei cicli produttivi ed evitare il conferimento presso siti di smaltimento autorizzati lontani dall’area di cantiere.
11. Lo studio geologico eseguito su base bibliografica, fotointerpretazione e rilievi in sito, ha evidenziato la storia geologica complessa dell’area con fagliamenti e sovrascorrimenti, alcuni dei quali interferiscono con il tracciato di progetto. Ha evidenziato un quadro idrogeologico complesso che favoriscono interferenze tra le opere ed i corsi d’acqua sotterranei che vanno debitamente considerati nelle analisi delle opere in sotterraneo. Dal punto di vista sismico l’area è conosciuta anche perché ha dato origine a terremoti importanti nel passato.