Il giornalista Mario Di Vito racconta la vicenda del rapimento e dell’uccisione di Roberto Peci, fratello di Patrizio, primo pentito delle Brigate Rosse, concentrandosi soprattutto sulle indagini e sul processo che ne è seguito. Nelle fitte pagine di “Colpirne uno. Ritratto di famiglia con Brigate Rosse” (Laterza, 2022) viene mescolato il dato storico con la vicenda privata di Mario Mandrelli, il magistrato che condusse le indagini e portò alla condanna di Senzani, Petrella, Ligas, Berardi e di tutti gli altri esponenti delle Br coinvolti nell’omicidio.
Il magistrato Mario Mandrelli era il nonno di Di Vito, che si è immerso in un lungo ed estenuante lavoro sulle carte processuali, sui giornali dell’epoca e sui diari tenuti per anni da sua nonna Loreta. Poco più trentenne, Di Vito è nato quando la vicenda raccontata era ampiamente conclusa e ammette di aver sentito soltanto una volta suo nonno (morto nel 2007) nominare Roberto Peci, eppure ha avvertito il bisogno di riportare alla memoria un momento cruciale per la storia non solo di un Paese e di una stagione politica, ma anche di una famiglia con una casa a due passi dal mare e di una piccola città, San Benedetto del Tronto.
Nel 1981 le Brigate Rosse erano al crepuscolo e la brutale esecuzione di Roberto Peci fu il momento che cambiò per sempre la loro storia. Secondo il dissociato Valerio Morucci, «coloro che hanno eseguito l’assassinio di Roberto Peci non erano più brigatisti ma un gruppetto di esaltati che si è buttato nelle azioni più assurde per coprire il proprio vuoto politico». Giovanni Senzani, detto dottor Bazooka, era il personaggio più enigmatico, ambizioso, pericoloso e diresse l’operazione senza astenersi da alcuna crudeltà.
L’esecuzione della condanna di Peci fu filmata e inviata ai media e segnò il punto di non ritorno del baratro in cui era precipitata la lotta armata. Se la decisione di uccidere Roberto Peci fu una vendetta trasversale di tipo mafioso, la sua spettacolarizzazione fu un’anticipazione di parecchi lustri dei filmati usati dall’Isis per terrorizzare l’occidente.
Non si esce vivi dagli anni ottanta, sembra dirci Di Vito, con un libro difficile da etichettare ma che si legge come un thriller giudiziario, grazie ad una scrittura giornalistica dettagliatamente autoptica – ma con un passo narrativo, che sfuma continuamente tra pubblico e privato senza mai infastidire il lettore – che racconta un periodo della storia d’Italia che fa paura anche solo nel ricordo.
Mario Di Vito classe 1989, giornalista, vive nelle Marche. Si occupa di cronaca, politica, giustizia e ingiustizia su “il manifesto”. Lavora anche per la Rivista Malamente e Rolling Stone. Collabora saltuariamente come autore con programmi televisivi e radiofonici. Ha scritto una trilogia di libri noir per Fila 37 e un reportage narrativo sul terremoto del Centro Italia per Poiesis Editore.