Nel tentativo di ridurre il debito pubblico dell’Italia e con la spinta dalla Commissione Europea, il Governo Italiano potrebbe a breve decidere di vendere una seconda parte di Poste Italiane, dopo l’IPO dello scorso ottobre .Dopo la cessione del 35% avvenuta lo scorso anno, il Ministero dell’Economia e delle Finanze potrebbe metterne in vendita un altro 30%, passando così da una quota del 65% ad una del 35%. La decisione di sospendere per il momento la quotazione delle Ferrovie dello Stato, ma garantire comunque un introito per il Governo. Quindi dove trovare i soldi. Vendendo un’ulteriore quota di Poste Italiane.Secondo questo progetto, la seconda vendita potrebbe far incassare allo Stato altri 3 miliardi di euro.
L’ulteriore cessione di un’azienda che rappresenta uno dei “gioiellini” di Stato, però non convince i sindacati.
Sono passati solo pochi mesi – riferisce il Segretario Interregionale della CISL Poste Antonio – dalla collocazione in borsa del 35% di Poste Italiane che già si vuol passare alla seconda fase, la vendita di un’ulteriore quota. La cessione di questa seconda quota ai privati cambierebbe la storia della più grande azienda di Stato, della nostra storia, e se le cose andranno come sembra, avremo presto un nuovo decreto che fisserà la partecipazione dello Stato al 30 se non addirittura al 25%. In questo modo la svendita di Poste Italiane è servita su un piatto d’argento.
Dopo la collocazione in Borsa nell’ottobre 2015 – continua il Segretario Antonio D’Alessandro – pare che nulla sia accaduto in termini negativi. Apparentemente assistiamo ad un aumento di ricavi, nella realtà la qualità dei servizi, le prospettive, i progetti concreti e il clima aziendale evidenziano tutti i fattori del fallimento.
Il Ministro dell’Economia e delle Finanze Padoan, nelle sue dichiarazioni, di cedere un’ulteriore quota ai privati spaventa e preoccupa – spiega Antonio D’Alessandro – perché significherebbe svendere una delle più grandi aziende italiane. Poste rappresenta per i risparmiatori un bastione di certezza e garanzia. Un’azienda che ha alle spalle tantissimi anni di storia, con una capillarità in tutta il territorio nazionale che ha consentito finora il recapito della corrispondenza a tutte le famiglie del nostro paese.
Con la privatizzazione di Poste Italiane – ribadisce Antonio D’Alessandro – ci sarà un’attenzione sempre più residuale al servizio di recapito postale e un accento sempre più marcato sul ruolo finanziario di Poste Italiane, che, oggi, grazie alla capillarità dei suoi presidi territoriali può tranquillamente lanciarsi in Borsa sfruttando la fidelizzazione dei cittadini accumulata in decenni di ruolo pubblico, per metterla a valore in prodotti assicurativi, finanziari e in sempre più spregiudicate speculazioni di mercato.
È difficile accettare che il governo pur di recuperare pochi miliardi – prosegue Antonio D’Alessandro -, utilizzi Poste Italiane come un “bancomat”, divenuta oramai l’unica azienda di Stato da poter spremere. Non importa se priva il cittadino di servizi, se si collocano prodotti finanziari in maniera smisurata, se la forza lavoro è in costante diminuzione, se migliaia di lavoratori subiscono pressioni commerciali, procedimenti disciplinari e ricatti senza una ragione. Quello che preoccupa particolarmente, è la drastica riduzione dei posti di lavoro che può derivare da questo processo repentino di privatizzazione.
Tante aziende italiane hanno subito tali trattamenti. Prima fra tutte Telecom Italia, che a seguito della privatizzazione ha subito una drammatico abbattimento del personale, nel giro di pochissimi anni. È questo il futuro che attende anche Poste Italiane.
Per la CISL Poste – conclude Antonio D’Alessandro – che da sempre ha messo al primo posto i lavoratori e la stessa Azienda, che oggi sono messi fortemente in discussione dai poteri forti, grandi interessi economici. Se non si cambierà rotta, sarà sostanzialmente un disastro.
Poste: ulteriore svendita? Se non si cambierà rotta sarà un disastro
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