Poste va in Borsa entro l’anno con il 40% del capitale e quindi vuole presentarsi sul mercato in modo appetibile, e per questo ha ideato un piano che prevede chiusure e razionalizzazioni. Il problema che pone il Segretario della CISL Poste è doppio: il futuro dei lavoratori e i costi per l’utenza. Infatti, da un lato sembra che in questa prima fase del piano (valido fino al 2019) Poste non licenzierà, ma la redistribuzione porterà a una sorta di guerra tra poveri per accaparrarsi il posto più vicino, con problemi di mobilità e di precedenze. Non si capisce il criterio in base al quale un ufficio possa restare aperto, essere declassato o chiudere del tutto, poiché l’azienda non ha fornito alcuna spiegazione sui metodi.
L’altro fronte è quello dei cittadini. Uffici chiusi significa servizi peggiori, più lenti e a prezzo maggiore, se bisogna spostarsi in un’altra città o zona per trovare uno sportello aperto. A fare piani a tavolino – riferisce il Segretario Antonio D’Alessandro – sono tutti bravi, ma quando si tratta di attuarli tocca a noi sindacati risolvere i problemi. Anche in questa occasione, CISL Poste mostra la sua totale contrarietà e in parte da la colpa al governo che, anno dopo anno, abbassa sempre più il fondo girato all’azienda per svolgere il servizio universale, cioè le aperture anche in punti economicamente svantaggiosi.
La CISL Poste, infine, denuncia la mancanza di una strategia in questo piano e l’abbandono della funzione sociale da parte di Poste, ma non si ferma, dopo le assemblee con i dipendenti, già svolte nella prima decade del mese di febbraio, chiede incontri con le istituzioni per attivare ogni iniziativa per tentare di bloccarlo o modificarlo.
Poste, la CISL critica: sono tutti bravi a fare i piani a tavolino
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