Politica/ Tutti fermi, siamo molisani

di Stefano Manocchio

Rileggendo le notizie di cronaca amministrativa locale degli ultimi giorni, è facile notare come queste siano in generale incentrate su due argomenti principali: la sanità e la complicata dialettica politica tra i partiti e all’interno del sistema politico in generale. Più nello specifico siamo stati impegnati per giorni a rendicontare le trattative, non sempre palesi, per la nomina del presidente del Consiglio comunale di Campobasso, i colpi di scena, i cambi di casacca e le polemiche conseguenti e subito dopo il discorso si è spostato sulle modifiche statutarie alla Regione, in particolare per quanto riguarda l’istituzione di un secondo Sottosegretario. Non ci dilunghiamo sull’ultimo argomento, perché è scontato che tutto rientri in una logica di riequilibrio nella gestione dei poteri all’interno dei vari partiti di governo.

Sul fronte sanitario, invece, si va avanti con un susseguirsi di notizie intervallando quelle buone, che generalmente coincidono con la concessione da parte del Governo centrale di cospicui finanziamenti , con quelle cattive, che riguardano sempre la carenza di organici nel comparto, le file di attesa per accertamenti ancora troppo lunghe e disservizi di ordinaria amministrazione.

Non manca la cronaca sindacale, dominata da minacce di scioperi, proteste e denunce di gravi situazioni sul fronte dell’occupazione. E’ un quadro preoccupante, perché pone la politica e la società su due piani distanti e certamente non dialoganti: due mondi separati a tutti i livelli istituzionali e ognuno con le proprie competenze e responsabilità. Quando arriva qualche notizia su casi di affermazioni imprenditoriali, o di storie di successo importanti ed insperate, che altrove riempiono le cronache locali, da noi questa rientra nel novero dell’assoluta eccezionalità, la gallina dalle uova d’oro. Poi tutto passa e continuiamo a parlare dei due argomenti prima citati e con le medesime modalità.

L’ ‘immagine è quella di un Molise in cui in questo periodo non ci sia niente di dinamico, nessuna luce di speranza che ci faccia uscire dal buio economico ed occupazionale che avvolge tutto e tutti; nessuno slancio neanche nel panorama giovanile, ma una sorta di attesa per quello che verrà, nella speranza che sia buono. La nostra è una regione (intesa come territorio, perciò con la ‘r’ minuscola) completamente ingessata, ingabbiata in una mentalità dell’attesa della buona novella; il problema è che non sappiamo quale sia e chi la debba portare. In tutto questo ogni anno migliaia di giovani emigrano, ma con la ferma volontà di non tornare.

Ci vorrebbe una sferzata per il cambio di passo, ma dall’orizzonte non arrivano segnali in tal senso. Allora bisognerà sostituire il lamento con la voglia di fare, con uno scatto di orgoglio che in passato ci ha anche rappresentati.

L’alternativa è la perdita d’identità, che è meno lontana di quanto si possa credere.

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