di Stefano Manocchio
Passata anche questa tornata elettorale è tempo di bilanci, come si usa dire nelle cronache giornalistiche sull’argomento.
L’analisi potrebbe essere semplice: Giorgia Meloni ha vinto per la coerenza e la caparbietà con cui è rimasta all’opposizione, in solitario, rinunciando a qualche ministero e tenendo la linea dritta fino alle vincenti elezioni e di contro Matteo Salvini è stato punito per la scelta opposta e lui stesso l’ha dichiarato con obiettività. Infine Forza Italia ha smentito i menagrami che, sulla scorta di sondaggi, davano il partito al capolinea e Silvio Berlusconi ha confermato per l’ennesima volta, qualora ve ne fosse ancora bisogno, che le sue capacità di ‘recupero elettorale’ sono confermate. Ma non si arriva (o torna) al vertice nazionale sollo per questo.
Il centro destra ha mostrato compattezza, ha usato temi in campagna elettorale ‘pratici’ ha ignorato le questioni di principio e non si è arrovellato in discussioni di lana caprina; in questo contesto il ‘miracolo’ di Fratelli d’Italia, che in pochi anni ha quintuplicato la forza elettorale, in parte ha richiesto il sacrificio interno al raggruppamento, che è appunto il calo della Lega. Alla fine si può dire che il centro destra ha vinto perché ha messo in atto una politica…di centro-destra. “Dì qualcosa di sinistra”: la frase del celebre film di Nanni Moretti è la sintesi di quello che non ha fatto il centro-sinistra, che ha fatto l’opposto del centro-destra ma solo nelle strategie (e, quindi, ha sbagliato), peraltro dando un’immagine scolorita sul fronte identitario. Spiego perché.
Nei comizi ‘rossi’ si è ripetuto all’infinito che non ci si poteva alleare con i Cinque Stelle perché avevano fatto cadere il governo Draghi e ricacciato temi che la gente in queste ultime settimane ritiene marginali, visto che più che l’inclusione sociale e i diritti teoricamente lesi o a rischio, si devono fare i conti con stipendi erosi da tasse e aumenti energetici, oltre che dei beni di consumo e difendersi dagli attacchi alla sicurezza personale.
Detto della Meloni e degli ‘azzurri’, vediamo il comportamento dei ‘competitor’. Enrico Letta sembra non averne azzeccata una: arrovellato appunto sulla lotta ai Cinque Stelle, che continua a ribadire anche dopo la sconfitta elettorale, ha visto fallire in poche ore la trattativa con il Terzo Polo e invece si è caricato sulle spalle i partiti minori della sinistra (gli ‘ex’ cespugli) che sul piano elettorale valgono più o meno la metà. Ancora prima, dopo un estenuante tira e molla, aveva chiuso la porta in faccia ai pentastellati e, anche se è vero che le percentuali non si sommano, rinunciato a farci vedere un film diverso da quello proiettato in sala, che è stato appunto la cocente sconfitta della coalizione. Anche le prime dichiarazioni post-voto, con la sottolineatura di essere come partito la prima forza d’opposzione, non sono quello che ci si aspettava da lui. E’ come quando a scuola si presentava la giustifica per non aver studiato la lezione e si cercavano le scuse più disparate. E’ un politico esperto, nato e cresciuto nella politica di alto livello, persona dai mille ed importanti interessi culturali, ma sulla strategia non sembra essere particolarmente orientato, o è mal consigliato, o ancora non ascolta i consiglieri. Ora si presentaerà al congresso dimissionario, atto elegante e dovuto; e almeno questo va ascritto a suo merito.
Veniamo a Giuseppe Conte (che dalle sue parti chiamano simpaticamente e confidenzialmente ‘Peppino’). Permettetermi un momento di autocitazione. Quando l’ex-premier venne a Campobasso scrissi pubblicamente di ritenerlo persona concreta; venni più o meno sbeffeggiato da aspiranti politologi, che ricalcavano il solco di altri politologi, più noti, che a loro volta sbeffeggiavano Conte ritenendolo simbolicamente un ‘soldatino’ di Grillo. Il recupero di voti messo in atto nelle settimane pre elettorali, in maniera scientifica e con perfetta conoscenza dei temi di interesse collettivo al Sud, conferma questa volta che avevo visto giusto. La sua analisi concreta dei fatti e dei bisogni ha ‘salvato’ i Cinque Stelle dal tracollo definitivo, limtando invece i danni per quanto possibile.
Il quadro mi sembra questo, il centro destra governerà il Paese: non ci saranno cali di socialità e la tenuta democratica sarà la stessa che ci sarebbe stata se avessero governato altre forze politiche. Li valuteremo e metteremo alla prova su temi più concreti e reali.