La politica è la storia in divenire. Chi si cimenta nell’iniziativa politica ha il compito di immaginare il futuro e proporre il sogno del cambiamento. È questa visione che genera passioni, produce impegno e attiva la partecipazione. Tale orizzonte, per noi, è l’ideale della trasformazione democratica e del superamento dei rapporti sociali che producono l’insopportabile ingiustizia dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo. La politica, però, ha anche il compito di riportare sulla terra ciò che sta nel cielo. In questo senso è realismo, analisi della situazione concreta e valutazione dei rapporti di forza.
Significa tenere insieme idee radicali e politiche reali e, simmetricamente, tenere fuori i settarismi identitari, gli estremismi parolai, i giustizialismi inconcludenti e i massimalismi velleitari, che producono solo sterile testimonianza e sconfitte politiche tremende. Questa è sempre stata la migliore cultura politica dei comunisti, dei socialisti, degli ecologisti e delle altre forze della sinistra in Italia.
Noi ci poniamo oggi, cominciando dall’Italia e dall’Europa, il problema di come “osare democrazia” difendendola dagli assalti dei populismi e delle destre e di come uscire dalla crisi economica facendo vincere le ragioni dei ceti più deboli, del lavoro, dei saperi e dei diritti.
È nella dimensione europea che occorre collocare il livello di questi problemi e, quindi, le soluzioni. L’Europa di oggi è lontana da quella immaginata a Ventotene da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni. Non è più rinviabile un’iniziativa politica progressista per un’altra Europa, più giusta, aperta all’integrazione democratica e alle istanze della crescita, dell’equità e del lavoro. Un’Europa in cui prevalgano le ragioni del pubblico su quelle del privato senza regole, della politica su quelle della tecnocrazia economica.
Al contempo non si può prescindere dalla costruzione di un’identità nazionale che assuma l’interesse dell’Italia come perno su cui tenere il tema dell’unità nazionale dentro l’Unione Europea. I populismi fanno presa perché in Italia la cultura dello “sfascismo” è il vero humus su cui proliferano le pulsioni autoritarie e reazionarie.
La crisi economica, sociale e politica ci impone di guardare a tali problemi da una prospettiva generazionale; di trovare le forme e i contenuti per parlare con forza e credibilità ai giovani proponendo un nuovo patto sociale che – privo di scorciatoie giovanilistiche e rottamatrici, ma con una forte attenzione verso il rinnovamento – metta insieme le generazioni e si rivolga al paese reale, non ai poteri forti nazionali e internazionali. Il paradigma tecnocratico – quello della contrapposizione giovani/vecchi, garantiti/non garantiti – si sconfigge con un’idea forte del lavoro e della coesione sociale, in cui la stagione della precarietà viene chiusa e i saperi divengono il fondamento della civiltà e dello sviluppo; ma anche favorendo l’impegno di nuova leva di ragazze e ragazzi, giovani donne e giovani uomini, che finalmente riescano a prendere in mano il futuro di questo Paese.
Lo schieramento di centrosinistra uscito vincitore alle elezioni regionali del 2013 è figlio di una concezione delle politica aperta e plurale, nella quale non esiste un uomo solo al comando e tutti hanno il diritto e il dovere al cambiamento della nostra regione. Eppure a due anni da quella storica consultazione popolare possiamo dire che il cambiamento stenta a partire. Migliaia di giovani continuano a scappare dal Molise in cerca di speranza è futuro altrove, vertenze occupazionali vecchie e nuove non trovano la loro giusta ricomposizione, il tema annoso del deficit sanitario rischia di esplodere giorno dopo giorno, a differenza di altre realtà regionali più virtuose nelle quali la politica ha saputo è voluto invertire il trend, per non parlare elle tematiche ambientali totalmente espunte dall’agenda di governo regionale, consentendo strumentalizzazioni, come la vicenda delle centrali di biomasse di Campochiaro ha desolatamente dimostrato.
Manca una strategia di prospettiva che sommata ai ritardi di iniziative rischia di compromettere, in modo irreversibile, l’autonomia istituzionale e l’identità culturale del nostro Molise.
Noi però non ci rassegniamo.
Non è più il tempo di tatticismi e politicismi, né di coltivare piccoli orticelli ormai inariditi. Per scongiurare l’ipotesi che la politica, in Italia come in Molise, diventi l’epoca della contrapposizione tra un nuovo agglomerato centrista e una galassia populista ed antisistema, è necessario e urgente costruire un grande e nuovo soggetto politica della sinistra, che si ponga l’obiettivo strategico del governo per cambiare la società insieme le forze progressiste e riformiste in un nuovo centrosinistra.
Una sinistra che condivida un pensiero forte e non più subalterno alle idee fallite del neoliberismo, in grado di sconfiggere le politiche dell’austerità e di contrastare – riaffermando i valori della Costituzione – l’emergenza democratica e che, soprattutto, stia dalla parte dei giovani e del lavoro.
Il Molise può farcela, se la sinistra saprà fare la sua parte.
Filippo Poleggi