PCL: riscossione tributi comunali nella nostra realtà locale il grande imbroglio

Riceviamo e pubblichiamo
Ci sono pervenute lamentele, in particolare da Castel San Vincenzo, poiché il Comune intima la riscossione di tributi locali (l’IMU o Tassa rifiuti) pur essendo chiaramente incappato nella decadenza triennale di cui all’art.1 comma 163 della Legge n.296/2007, asserendo che invece tale temine sarebbe di cinque anni, in applicazione del comma 161 della stessa norma.
Ma dov’è l’ingannevole espediente giuridico per tanti poveracci vittime di tali vessazioni ?
Esso consiste nel confondere l’ipotesi di cui al comma 161, di mancato o parziale versamento per omessa o infedele denuncia dell’immobile – per la quale vigono i termini di 5 anni per l’accertamento e 3 anni per la riscossione coattiva -, con l’ipotesi in cui l’immobile è stato regolarmente denunciato, dove vige solo il termine di tre anni dall’anno di imposta per la riscossione coattiva (non essendovi nulla da accertare).
La prima ipotesi (ex comma 161): il Comune, una volta scoperto l’immobile non denunciato o infedelmente denunciato, lo fa emergere con l’accertamento, e può retrocedere di cinque anni rispetto all’anno in cui scopre l‘evasione (Tarsu, IMU ecc.). Ha poi tempo tre anni, a pena di decadenza, da quando l’accertamento diviene definitivo per procedere alla riscossione coattiva (ruolo coattivo o ingiunzione fiscale).
La seconda ipotesi, quando l’immobile è stato regolarmente denunciato sin dall’origine (IMU o tassa rifiuti ecc.), e dunque non c’è nulla da accertare ricade nel solo comma 163: in tal caso vi sono solo i tre anni di tempo dall’anno di imposta, per procedere alla riscossione coattiva (non cinque più tre).
Cosa fanno alcuni Comuni, ad esempio quello di Castel San Vincenzo, molto scorrettamente ?
Si inventano un inesistente “accertamento di omesso versamento” anche nelle ipotesi in cui la denuncia è stata regolarmente presentata e dunque non c’è nulla da accertare, dissimulando così la finzione giuridica del citato comma 161: in tal modo si prendono prima 5 anni per intimare il versamento (intimazione dissimulata come “accertamento” ) e poi altri tre anni per la riscossione coattiva, così eludendo la decadenza triennale di cui al comma 163, e magari affrancandosi dall’eventuale danno erariale a cui amministratori e dirigenti potrebbero essere condannati.
La denuncia IMU o dell’utenza rifiuti è “ultra attiva” , cioè non va ripresentata ogni anno e vale sino alla eventuale variazione, e l’accertamento definitivo annuale coincide con la denuncia stessa come recita la norma.
Ad esempio: la denuncia dell’immobile per la TARSU o per l’IMU del 2011 comporta che l’accertamento diviene definitivo nel 2011, dunque, ai sensi del citato comma 163, il Comune decade dal potere di riscuoterla mediante ingiunzione fiscale o ruolo entro il 31 dicembre 2014.
Invece cosa fanno ? Si inventano l’immaginifico “accertamento” confuso con l’intimazione del versamento omesso, pur in presenza di regolare denuncia: con tale atto atipico, simulano l’applicazione del comma 161 così allungando ad otto anni (cinque più tre) il tempo per la riscossione coattiva, al fine di eludere l’eccezione di decadenza e magari salvarsi dal danno erariale sulla pelle del malcapitato cittadino.
Insomma: tutte le ingiunzioni fiscali o ruoli coattivi emessi dal Comune, che si riferiscono a utenze della tassa rifiuti o dell’IMU non pagate, purché regolarmente denunciate, sono da dichiararsi nulli per decadenza se notificati oltre il 31 dicembre del terzo anno successivo all’anno d’imposta, ex comma 163, anno in cui l’accertamento –stante la denuncia – è divenuto definitivo. Se invece v’è omessa o infedele denuncia, e solo in tal caso, si procede prima con l’accertamento nei cinque anni e poi entro i tre anni successivi alla riscossione coattiva.

Orbene, quanto sopra è stato confermato dalla Commissione Tributaria Provinciale di Isernia, a suo tempo presieduta peraltro dal Giudice dott. Vincenzo Di Giacomo, noto autorevole giurista molisano, con ineccepibile Sentenza n.174/2014 emessa nei confronti della mala gestio operata dal Comune di Castel San Vincenzo, esemplarmente condannato anche alle spese, attesa la vessazione subita dal contribuente, ed è stata confermata in appello anche dalla Commissione Tributaria Regionale con Sentenza n. N. 1409/2017 Sez:1 depositata il 07/12/2017 con ulteriore condanna alle spese sempre del Comune di Castel San Vincenzo.
E ciò nonostante ciò, il Comune di Castel San Vincenzo persiste nell’omettere di adeguarsi a tali pronunce giudiziali, continuando a vessare i malcapitati cittadini.
Da comunisti, al di là delle questioni tecniche, riteniamo che queste tassazioni non legate al principio di progressività, già sono inique poiché penalizzano le masse popolari a vantaggio dei ceti benestanti e servono da ulteriore aggravio a fonte dei tagli antisociali del governo centrale.
Se poi si aggiungono anche questi abusi di potere nella nostra realtà locale in merito alla falsa applicazione di norme sulla “decadenza” prima decritta, si ripropone il problema della condotta vessatoria tenuta dalle istituzioni borghesi contro tante modeste famiglie di lavoratori.
Il Comune dice: “puoi fare ricorso se ti pare”. Vero.
Ma quanti oneri occorre esperire da parte di tanti poveri cristi già in difficoltà visto anche la giustizia nel capitalismo ha un segno di classe ?
E, nel terno al lotto della giustizia borghese, se non si trovano sempre persone con idonea preparazione giuridica, come fortunatamente avvenuto in tal caso con il Giudice Di Giacomo in primo grado e con i giudici tributari regionali del Molise in secondo grado, quale garanzia di giustizia forniscono i membri delle Commissioni tributarie?

IL COORDINATORE DEL P.C.L. MOLISE
Tiziano Di Clemente

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