Il 17 aprile dovrà essere innanzitutto una giornata di impegno civile e di profondo rispetto per i dettami costituzionali. Per questo è prima di tutto importante andare a votare. A prescindere dalle proprie posizioni, e quindi da ciò che si vota, è ancora più importante esercitare il diritto/dovere del voto perché gli spazi in cui si esercita la democrazia non devono essere snobbati mai, anzi compito di un partito che si definisce democratico già nel suo nome è quello di curarli e preservarli come unico rimedio al disimpegno civile e politico, quello sì generatore di mali incurabili. Per questo penso che invitare all’astensione non sia mai saggio e guardando al passato…porti pure male! Personalmente non rispetterò una linea politica discussa formalmente solo dopo essere stata decisa e che è palesemente in contrasto con i valori fondativi del Partito Democratico. Andrò a votare e con convinzione voterò SI. In questa logica spero di sentire in questi giorni voci più autorevoli della mia.
Il Referendum guardato formalmente così come farebbe una macchina di Turing risulta essere un quesito per ingegneri dell’energia. In questo puro formalismo ci sono tutti i limiti di una scelta che a mio modo di vedere guarda al dito anziché la luna. Al contrario bisognerebbe inquadrare il referendum in generale, in un discorso di politiche territoriali, di politiche di sviluppo economico e di politiche industriali. In questo campo le ragioni del SI indicano una nuova strada dove le popolazioni auto-determinano scelte strategiche per lo sfruttamento del territorio che vivono. In quest’ottica le filiere composte dalle piccole e medie imprese sostituiscono gli interessi dei grandi gruppi con ricadute economiche dirette per le economie di scala. Seguendo questa strada lo “Stato innovatore” avrebbe l’occasione di compiere importanti investimenti pubblici in grado di rilanciare occupazione, consumi e ricerca. Ciò che si vuole indicare con questo referendum è un approccio organico ed olistico al settore dell’approvvigionamento energetico che, partendo dalla ricerca dei nostri cervelli (non più in fuga), crei le condizioni di una industria basata sull’efficienza energetica, sulla creazione di una filiera di riciclo, riuso e valorizzazione energetica degli scarti. In questo modo avremo una industria finalmente competitiva che non sotto-paga i lavoratori e al tempo stesso crea decine di migliaia di posti di lavoro con beneficio di tutti (altro che qualche migliaio di posti di lavoro!).
A tutto ciò si aggiunge quello che la politica e il buon senso suggerirebbero: in un periodo di crisi ambientale, economica, geopolitica, con elevati tassi di disoccupazione e bassi livelli di consumi da parte delle famiglie, non si deve puntare su gigantesche opere internazionali come trivelle, gasdotti, oleodotti, che portano tanti benefici a poche multinazionali e tanti danni alle popolazioni coinvolte, bensì a tante opere diffuse che salvaguardino la salute dei cittadini e al contempo portino lavoro e ricchezza utilizzando le risorse del territorio, meglio se avviando un percorso di decisione democratica e condivisa delle scelte.
In conclusione, sappiamo che non sarà con un SI ad un quesito residuale rispetto ad un tema immensamente più grande come le scelte nazionali in materia di approvvigionamento energetico, a determinare una svolta ambientalista nel nostro Paese. Tuttavia sappiamo anche che le risorse in termini di idrocarburi esistenti in Italia ci renderebbero indipendenti per due anni scarsi. Allora risulta necessario chiedersi, se questo sfruttamento nazionale non ci rende significativamente meno dipendenti, se i costi enormi alla fine rischiano di superare i vantaggi, se le conseguenze per inquinamento dell’aria e delle falde acquifere, con effetti devastanti anche sull’agricoltura sono così pesanti, se le royalties pagate a Comuni, Regioni, sono così poco rilevanti, se è vero che investimenti nell’efficienza energetica, nelle rinnovabili generano più posti di lavoro di queste forme di sfruttamento così intensive, perché continuare in questa direzione? Perché non fermarsi definitivamente?! Perché non riscrivere la Strategia Energetica Nazionale?
La vittoria dei SI rappresenterebbe un segnale chiaro della volontà di un Paese che tiene al suo territorio, al suo ambiente, al suo mare, al suo cibo, al clima, e forse potrebbe essere il primo passo per cambiare direzione.
Per questo, nella consapevolezza dei limiti del contesto e del quesito, è utile ogni sforzo possibile per incoraggiare a non disertare le urne, a cogliere una opportunità di pronunciamento democratico e a far prevalere un SI consapevole.
Nicola Palombo
Coordinatore SinistraDem Molise
Assemblea Nazionale PD