Aldo Biscardi era molisano nel midollo, non il bicipite ossuto dei campi ma il sempliciotto di paese. Sintetizzava alcune peculiarità a cominciare dalla parlata dialettale che faceva a pugni con le espressioni corrette “abbiamo uno sgoop clamoroso”.
Tornava spesso nella sua Larino a respirar “l’aria gentile”, l’aria nativa che tanto amava. Con il suo Processo del Lunedì ha segnato la storia del calcio italiano. Un titolo azzeccatissimo suggerito da una frase di Gianni Rodari che, nella prefazione ad una storia del giornalismo sportivo dello stesso Biscardi, affermava che questi “parla di calcio come ad un processo”.
Negli studi televisivi sono passate generazioni di calciatori e commissari tecnici e accanto alla valletta di turno, figurava come ospite fisso un valoroso cronista sportivo. Biscardi nato a Larino nel 1930 era solito aprire ogni puntata con le sue “bombe”. Nel 1993 il conduttore cambiava maglia e dalla Rai passava a Tele+, poi a Telemontecarlo e a La7 Gold. Il Processo del Lunedì diventava Il Processo di Biscardi. Nel 2006 l’Aldo Nazionale veniva coinvolto, anche se non penalmente, nell’inchiesta di Calciopoli.
In un’intercettazione, Luciano Moggi, diceva a Biscardi come e di cosa parlare in tv, in cambio di regali tra cui un orologio da 40 milioni di lire. Calciopoli costò al conduttore la sospensione di sei mesi dall’ordine dei giornalisti. Luciano Moggi, il grande inquisito, divenne una sorta di dittatore calcistico e di colpo lo sport più bello del mondo si imbruttì. Non c’era più lealtà, gli arbitri venivano corrotti e le partite truccate.
A questo punto mi fermo per una piccola digressione storica sulle dittature nel calcio. Nella finale mondiale del 1938 a Parigi l’Italia difese il titolo con successo ed il portiere ungherese Szabo alla fine della partita disse: “Abbiamo salvato la vita di undici persone. Prima dell’inizio dell’incontro infatti ci fu detto che gli italiani avevano ricevuto un telegramma da Mussolini contenente il messaggio Vincere o morire!”.
In merito alla Germania nazista, il campionato del Mondo del 1938 si concluse con un ulteriore fallimento, anche perché gli eleganti giocatori del Wunderteam (squadra austriaca delle meraviglie) mal si combinavano con i ruvidi corridori della Herrenrasse (razza eletta) tedesca. Lo scrive Erik Brouwer in un articolo sulla rivista Limes 3/2005.
I tedeschi persero per 4-2 contro la Svizzera ed il 20 aprile 1940, giorno del compleanno del Führer, si trovarono nuovamente a giocare a Berna, e ancora una volta duramente sconfitti (1-2). Il giocatore della Nazionale Helmut Schön dichiarò dopo la fine della partita che la sconfitta rasentava l’alto tradimento ed il reato di lesa maestà, e Joseph Goebbels era pienamente d’accordo con lui. Scrisse una lettera al Reichssportführer (ministro dello Sport del Reich) Hans von Tschammer und Osten nella quale era scritto che “nessuna partita poteva essere programmata senza che il risultato venisse determinato in anticipo”.
Non fu da meno Stalin quando ordinò lo scioglimento della squadra dell’esercito Cdsa Mosca (poi Cska), il principale serbatoio di giocatori per la Nazionale. Il campionato prese il via, ma il decreto non era ancora stato promulgato. Il Cdsa giocò i primi tre turni prima di apprendere che il club era stato escluso dalla competizione. Il pubblico rimase all’oscuro di tutto, perché il partito aveva ordinato alla stampa una censura totale sull’argomento. La squalifica della società rimase in vigore fino alla morte di Stalin, nel 1953. Subito dopo fu revocata ed il Cdsa poté di nuovo prendere parte al campionato, a partire dal 1954.
Oggi questi tre grandi dittatori non ci sono più ma c’è una dittatura più silente che governa ancora di più il mondo del calcio: quella dei grandi sponsors o per dirla alla Biscardi “grandi sponzor”. Le gags di Biscardi sono diventate dei veri aforismi. Ne ricordiamo qualcuno: (Rivolto all’avvocato Taormina) “Carlo, incomincia a parlare tu, che sei un foro del principe!”, “Carraro se ci sei batti questo colpo e metti la moviola! C’hanno chiamato da tutto il mondo per la moviola: dalla Germania, dall’Inghilterra, dalla Spagna, dalla Francia c’ha chiamato pure Platinette (Platini)!”.
Infine quello più celebre, finito in parte come epitaffio sulla sua tomba, nel cimitero di Larino, terra dei Frentani: “Non parlate tutti insieme, al massimo due o tre alla volta!”
Roberto Colella