Chi lo dice che se di mestiere fai il rappresentante di caffè, non puoi scrivere poesie, testi o addirittura canzoni? Si era diplomato con il massimo dei voti al liceo scientifico di Campobasso, Domenico Moliterni, e aveva iniziato il suo percorso universitario a Napoli, alla facoltà di Lettere. La laurea non fu mai conseguita, ma non per volere, più che altro per solidarietà. I soldi a casa erano quelli che erano e Michele e Teresa avevano bisogno di spalle larghe e forti che li aiutassero nella gestione del negozietto alla stazione di Guardiaregia e del bar su, in piazza. Loro erano quattro figli, ognuno abile in qualcosa. Domenico, in particolare, sapeva ben parlare. Avete presente quando si dice la parola giusta, al momento giusto? Ecco, così. Domenico (che in realtà di nomi ne aveva tre Lamberto Antonio) le conosceva bene le parole e non sottovalutava mai il loro significato perché sapeva che se usate male potevano ferire. Gravemente. Irrimediabilmente. La sua dote di grande oratore, dal fascino inconsueto, lo aveva aiutato nell’avventura che poi finì per caratterizzare tutta la sua vita. Domenico divenne ben presto rappresentante di un noto marchio di caffè molisano. Trascorreva la maggior parte delle sue giornate su un furgone bianco, attraversando particolari paesini, conoscendo gente nuova ed annotando pensieri ed impressioni su un taccuino. Era necessario immortalare i momenti, le situazioni, le emozioni. Lui, il click della macchinetta fotografica, lo scattava con le parole, che poi rielaborava e trasformava in racconti divertenti, o in romantiche poesie. Domenico sapeva far rivivere le parole anche nelle canzoni. Suonava il basso e cantava. Cantava tanto e non solo a casa. Anche durante matrimoni o feste. Si divertiva con i suoi amici musicisti. Dava il meglio di sé, altresì, nel gruppo folkloristico di San Polo Matese, luogo in cui si trasferì dopo aver sposato Anna. I suoi figli, Teresa e Michele, erano il suo primo amore ed Anna la donna che aveva scelto per la vita. Ad ogni modo, ogni istante era per lui prezioso. Non era amante delle liti e delle discussioni Domenico, preferiva incassare, ascoltare e poi rispondere con un sorriso, che quello ci sta sempre bene e non fa mai male. Sorrideva persino quando la cognata, Nunzia, tipa sui generis, gli telefonava alla cinque del mattino (pure la domenica, unico giorno in cui a quell’ora Domenico ancora dormiva) chiedendogli cosa facesse. Il sorriso lo accompagnò persino durante la sua malattia, dura, intensa, forte, lunga, bastarda. Perché ha vinto lei e glielo ha spento il sorriso, troppo presto, a soli 54 anni, lasciando la paura, la tristezza, la malinconia. Del silenzio a tavola, dove non si mastica a bocca aperta, si fuma fuori, si vede il TgR e il pane deve essere di Longano. Perché ognuno ha le sue fisse. Ognuno ha i propri difetti, ma poi si finisce per amare pure quelli. E ricordarli, apprezzarli, farne routine. Domenico ha insegnato tanto a quelli che lo conoscevano. Ai suoi datori di lavoro, essendo un uomo onesto, genuino e dedito al mestiere, alla sua famiglia, essendo un amante della vita, ai suoi amici, trovando conforto nella musica, ai signori e alle signore al bar, regalando parte del suo tempo, al suo paese, organizzando manifestazioni, a quel prezioso taccuino che lo accompagnava sempre e a me, perché l’indispensabile è qui adesso. Di seguito la sua filosofia di vita, oggi anche la mia, raccolta in poche righe ed espressa in semplici, ma toccanti e profonde, parole:
LA VITA E’ QUESTA
È inutile incaponirsi
avvelenarsi per gli altri
illudere i propri sogni…
Perché la vita è questa
e se per noi
sembra non esserci futuro
io voglio vivere
giorno per giorno
senza programmare
senza stare lì a calcolare…
Perché se la vita è questa
dobbiamo berla adesso
perché ieri
già non lo ricordo
e domani
è ancora troppo lontano.
di Angelica Calabrese