Il paragone con il titolo parafrasato di un celebre film può sembrare fuori luogo; ma non c’è alcun intento ironico nel proporlo, anzi un velo di tristezza, che è lo stesso nell’apprendere che continua a diminuire la popolazione residente in Molise. Nel 2020, secondo la maggiore rilevazione nazionale, abbiamo perso oltre 6mila persone, scendendo sotto la soglia dei 300.000 residenti. Il calo nei centri maggiori (Campobasso, Isernia e Termoli con un decremento medio di circa 200 residenti) è a malapena compensato dalle poche decine di abitanti in aumento per ognuno dei Comuni dell’hinterland dei tre centri più importanti; ad esempio Ferrazzano o Vinchiaturo per Campobasso e San Giacomo degli Schiavoni per Termoli. Inoltre aumentano i Comuni di frontiera come Cercemaggiore.
Non serve approfondire ulteriormente per capire come l’emorragia di presenze sul territorio regionale, in un contesto caratterizzato da un’economia già debole di suo, non possa far altro che portare alla fine di qualunque ipotesi di sostenibilità. Gli appelli alla classe politica a fare di più e meglio sono continui e forse in parte l’impegno c’è anche, ma evidentemente mal canalizzato, cioè dove non c’è presa popolare e soprattutto giovanile. La cultura del posto fisso in una regione dove il posto non c’è più è un freno e porta ad emigrare chi arriva a livello di rassegnazione; turismo e innovazione sono le strade, casomai promuovendo l’auto-imprenditorialità e l’ingresso nei mercati in espansione.
La ricetta magica non ce l’ha nessuno, ma è chiaro un deficit di progettazione soprattutto adesso che le risorse ci sono ed altre ancora maggiori arriveranno. Vorrei dire che le premesse del recupero di sviluppo ci sono…meglio aspettare l’evoluzione dei fatti.
(s.m.)