La nostra categoria o i settori produttivi della nostra categoria spesso sono entrati nell’occhio del Ciclone assurgendo a luoghi di perdizione e ingiustamente sono oggetto di crociate,siamo passati dalla lotta all’alcolismo la cui colpa era dei bar e trattorie,alla lotta alla Obesità la cui colpa era del cibo dei vari Fast Food,alla lotta all’apertura domenicale ai centri commerciali,oggi si è aperto la crociata contro la Ludopatia. Mentre decine di negozi si arrendono alla recessione e chiudono, nascono come funghi sale da gioco e centri scommesse. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) sono circa 1,8 milioni gli italiani a rischio dipendenza da gioco d’azzardo. I gambler sono il 13 per cento totale della popolazione. Il gioco d’azzardo è un’industria da100 miliardi di fatturato. Si gioca perché la vincita è realmente “a portata di mano”, si gioca per compensare “un disagio esistenziale”, si gioca per “curare” le sollecitazioni ansiogene del mondo del lavoro e si gioca per alimentare un controverso “senso di utilità”.
Questo è ciò che emerge dall’ultimo dossier del Censis, Gioco ergo sum, in merito alle spinte propulsive che spingono le persone ad entrare in uno dei tanti punti gioco sparsi sul territorio e investire i propri risparmi, le proprie speranze sull’azzardo. L’identikit del giocatore è maschio nel 76,4 per cento dei casi, poco scolarizzato, e ha una situazione lavorativa vicina al fallimento (esempio i cassintegrati).
Viceversa la Siipac (società italiana di intervento sulle patologie compulsive) ci dice che il 72 per cento degli scommettitori compulsivi è sempre di sesso maschile e di età compresa fra i trenta e i cinquant’anni ma con un livello di istruzione medio-alto, gode di una vita professionale stabile e di relazioni affettive (apparentemente ed evidentemente)appaganti. Slot machine, gratta e vinci, scommesse di ogni genere al centro di un comportamento deviante che potrebbe portare i giocatori anche sul lastrico?. La mania del gioco potrebbe varcare i confini della normalità, per intenderci il classico sano “tentare la fortuna” per sfociare in una smania volta alla vittoria a tutti i costi. Ciò che spaventa e lascia pensare è l’alta percentuale di giovani che ne è coinvolta, sintomo questo di una società che non produce più speranza. Un “aiuto” – chiamiamolo così – in tal senso arriva dal gioco on-line, dove lo scommettitore incallito anche dalla propria abitazione con un semplice collegamento internet e una carta di credito (la più utilizzata è la PostaPay) può giocarsi il futuro tra mura amiche e silenziose. Da qui vengono i casi più eclatanti ripotati dalla cronaca.
L’89,7% (Geografia del Gioco online in Italia 2012) scommette on-line (video poker, slot machine, lotto, superenalotto, schedina del totocalcio, scommesse sportive, ecc..).L’ultimo anno, da questo punto di vista, è stato un fiorire di sale gioco e sale scommesse, a fronte di decine e decine di negozi chiusi, sbranati dalla crisi. Accanto ai grandi centri ludici vi è poi una rete di piccoli locali, quali bar e tabacchini, che permettono e consentono al cittadino di giocare e scommettere. Il gioco d’azzardo come una fabbrica con i suoi imprenditori e dipendenti, con un proprio mercato dove domanda e offerta non solo si incontrano ma si radicano. Ma come viene regolato il gioco in Italia? Chi c’è dietro? Chi e quanto si guadagna?In barba alla recessione globale, il gioco d’azzardo non conosce crisi. Nel 2011, per l’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato (AAMS) gli introiti sono stati pari a 80 miliardi di euro ovvero quasi il 5 per cento del prodotto interno lordo. Nei primi sette mesi del 2011 le entrate hanno superato i 62 miliardi di euro. Nelle casse dello Stato ne son finiti 5 miliardi che son diventati 9 nei primi mesi del 2012. A dar manforte a questi numeri ci sono quelli relativi alla spesa totale del consumatore nel gioco d’azzardo.
In poco più di dieci anni, 2001 -2011, si è passati da 19,5 miliardi di euro a 79,9 miliardi di euro. Cifra da capogiro, cifre che han fatto la fortuna di pochi (proprietari di macchinette) e sfortuna di molti (giocatori). La differenza risiede nel fatto che la parte maggiore del guadagno, oltre il 70 per cento, è a favore dello Stato.
Il restante 30 per cento o poco più se lo dividono il gestore della macchinetta e il proprietario del locale».
Insomma da un lato la lotta alla ludopatia, come viene definita la dipendenza da gioco nel Decreto Balduzzi (convertito in legge lo scorso 18 novembre 2012), e dall’altra gli introiti da capogiro della stessa. In sostanza un colpo al cerchio ed una alla botte. In alto si introduce la patologia nei Livelli essenziali di assistenza (Lea) imponendo a tutti di inserire spot sui giochi all’interno di programmi televisivi o radiofonici e l’obbligo di indicare anche “su schedine e tagliandi” oltre che sulle slot e nelle varie agenzie e sale da scommessa i rischi della dipendenza da gioco dichiarandolo di fatto una piaga sociale. Come il fumo che lo si pubblicizza da una parte e lo si demonizza dall’altra.
E al contempo, in basso, non dimenticando che la ludopatia è una industria che produce soldi. Soldi che oggi è più facile ricavare dalla rete.
Il grande business adesso si sta facendo con i giochi on-line, slot machine comprese. La parte del leone nel mercato virtuale la fa il poker on line. Ovviamente il Decreto Balduzzi è presente e valido anche per i giochi e scommesse on-line quindi, anche in questo caso la contraddizione di fondo rimane tutta. Da un lato la condanna e dall’altro il guadagno: «Qui gli incassi son ancor più facili e più consistenti, più facile perché tutti possono accedervi in maniera silenziosa e privata e più consistenti perché si possono giocare somme ben più alte della monetina di 1 euro del bar.
Inoltre la maggior parte delle grandi società che gestiscono i siti di gioco on line sono con sede legale a Malta, Cipro e/o Cayman, i classici paradisi fiscali».
In effetti da quando il gioco on-line è stato liberalizzato (decreto di ferragosto del 2011) gli incassi sono aumentati. Nel 2010 ha fatturato il 2,5 per cento dell’incasso complessivo del mondo gioco. Da settembre 2011 a febbraio 2012 il fatturato è stato oltre 5 milioni di euro. E ha influito anche l’aumento della puntata massima che un giocatore può effettuare. Prima della liberalizzazione il valore massimo di una fiches era di 250 euro ora, da settembre 2011, si arriva fino a mille euro per una singola puntata, ovvero 4 volte in più.
Il record italiano di chi tenta la fortuna con l’azzardo: 57,5 per cento. Spendono abitualmente denaro in new-slot e lotterie, ma scarseggiano le grandi vincite: pochi i sei al Superenalotto.
Tra le migliaia di persone che tentano la dea bendata in forte aumento i giovani, che sono anche i soggetti più a “rischio dipendenza”. Ma siamo pure un popolo di sconfitti: giochiamo, giochiamo e vinciamo poco.
Sembra una contraddizione, ma forse è invece la più nitida delle fotografie più che sulla fatica facciamo affidamento sulla fortuna, ma la fortuna ci volta le spalle.
Lo certificano i Monopoli di Stato (Aams) che avendo giurisdizione sugli azzardi e le scommesse (leciti) di qualsiasi tipo tengono la contabilità ufficiale sui frequentatori di videogiochi, gratta e vinci, lotterie, scommesse sportive. In Italia a sfidare abitualmente la fortuna sono circa 4 italiani su dieci (diciassette milioni su sessanta milioni di abitanti
Si parla naturalmente di giochi pubblici e non di quelli delle sale o delle reti clandestine,queste si andrebbero attenzionate, giochi per i quali ogni giorno decine di migliaia di persone di qualsiasi età spendono soldi con la speranza di poterne vincere molti di più lasciandosi carezzare dall’idea di diventare ricchi.
C’è perfino chi si indebita, chi ne fa una malattia, chi litiga in famiglia e chi trascura il lavoro pur di inseguire il sogno della supervincita, anche se i risultati non sono del tutto incoraggianti.
In generale nel settore a farla da padrone, sempre secondo i dati resi noti dai Monopoli di Stato, sono gli “apparecchi”, ossia le new-slot e le videolottery presenti in locali pubblici o in esercizi esclusivamente dedicati al gioco, che da sole hanno raccolto più del 50 per cento del settore. Al secondo posto le classiche lotterie, dove la parte preponderante è rappresentata da quelle istantanee: gli ormai famosi ‘gratta e vinci’.Il dato preoccupante é che i giocatori compulsivi sono inclini a consumare alcol, fumare e assumere farmaci, in particolare tranquillanti. Il mercato dei giochi pubblici in Italia, che nel 2011 hanno avuto una raccolta lorda di 79,9 miliardi di euro (con un aumento di circa il 30 per cento sul 2010), continua a crescere: le vincite pagate ammontano a 61,5 miliardi e una conseguente raccolta netta pari a 18,4 miliardi. Un bilancio che risulta particolarmente in crescita se confrontato con gli anni precedenti. Si è passati dai 35,3 miliardi di raccolta lorda del 2006 ai 61,4 miliardi del 2010 ai 79,9 dello scorso anno. In pratica in sei anni la spesa per i giochi è più che raddoppiata: difficile imbattersi in un bar o locale pubblico che non abbia in bella vista macchinette mangiasoldi e qualcuno lì pronto a intrattenersi infilandovi dentro monete o banconote.
Il momento di grave crisi economica fa la sua parte: si spera di vincere, si spera di uscire dalla crisi stessa per la scorciatoia più breve ma al contempo più illusoria. Le statistiche parlano chiaro: in fondo a vincere, soprattutto a cospetto di chi gioca abitualmente, è sempre il congegno o chi gestisce l’enorme business che ruota attorno alle lotterie e ai concorsi a premi.
Vorremo far rilevare che di fronte a tanta desolazione in questo settore operano qualche centinaia di Migliaia di dipendenti regolarmente assunti e per tanti come in Sisal anche con contratto Integrativo Aziendale.
Alfredo Magnifico