Non esiste situazione peggiore del perdere, all’improvviso, l’uso degli arti a causa di una malattia che entra di soppiatto all’interno di una famiglia cambiandone gli equilibri. Eppure, se si pensa alla condizione attuale dei disabili nel nostro paese, questa potrebbe non essere la circostanza più brutta da affrontare.
Prendiamo un esempio, fra tanti. Quello di Betty, 34enne campobassana con seri problemi alla vista ed all’udito. Il suo è un calvario che va avanti ormai da diversi anni: “Quando avevo 12 anni mi è stato diagnosticato un tumore benigno che ha colpito il nervo ottico dell’occhio destro che, da allora, è praticamente cieco. Nel 2007, durante una visita, i medici hanno riscontrato un altro tumore, la cui crescita risultava più accelerata rispetto a quello precedente. Così ho dovuto sottopormi ad un altro intervento. In totale ho subìto quattro radiochirurgie tra il 2001 ed il 2004”.
Il suo problema, con il passare del tempo, diventa sempre più grave: “Purtroppo il mio stato di salute è degenerativo e, ad oggi, nonostante tutti i progressi nel campo medico-scientifico non vi è una cura. Ormai sono quasi cieca, riesco a vedere solo le ombre da un occhio e nemmeno gli occhiali mi agevolano. L’udito è quasi del tutto perso, non riconosco bene gli odori ed ho problemi di memoria e di equilibrio”. Basti dire che, nonostante tutti gli sforzi dei medici nel compiere le operazioni necessarie a garantirle una vita dignitosa, Betty non potrà migliorare.
Durante l’accertamento sull’handicap il responso fu netto: “Invalidità prima al 50% e, successivamente al 100% nel 2004, con tutti i benefici derivanti dalla legge 104/92 che mi consente di effettuare 6 delle 8 ore di lavoro giornaliere”. Da quest’anno però, la sua condizione di disabile agli occhi della legge potrebbe cambiare, a causa di alcuni aggiornamenti legislativi: “Da quando mi è stata riconosciuta la disabilità totale non ho mai avuto problemi con il suo rinnovo. Per diversi anni, a causa del lavoro, mi ero trasferita a Milano e la ASL della città mi chiamava ogni 2/3 anni per aggiornare la mia condizione. Io mi recavo dinanzi la Commissione con la documentazione medica e loro prorogavano la disabilità. Due anni fa mi sono trasferita, assieme a mio marito, a Monza dove effettuai la prima visita senza alcun problema. Lo scorso 4 gennaio ricevo una chiamata dalla ASL di Monza che mi chiede di recarmi in Commissione per le verifiche di rito. Sono andata lì con la cartella rilasciata dal neuro chirurgo che mi ha in cura e sono sorti alcuni problemi. Mi hanno detto che non mi avrebbero rinnovato l’invalidità, con conseguente perdita dei benefici derivanti dalla legge 104/92, per alcune contestazioni riguardanti i risultati degli esami e le date dei certificati. La Commissione che giudicava il mio caso era la stessa dello scorso anno, ma stavolta mi hanno richiesto altri esami audiometrici, che avevo già effettuato in passato: i potenziali evocati, un esame che serve a capire quali frequenze non vengono percepite dall’orecchio. Hanno anche messo in dubbio ciò che aveva scritto il mio neuro chirurgo sui problemi alla memoria e su un principio di epilessia che sta iniziando a verificarsi, contestando anche le date di tali risultati datati novembre 2013 e considerati vecchi dal Presidente della Commissione”.
Gli esami prescritti dalla Commissione per Betty sono costosi e non tutti gli ospedali hanno le attrezzature adatta per svolgerli: “Appena uscita dalla sala, dopo il responso negativo della ASL di Monza, ho contattato il neuro chirurgo per chiedergli di prenotarmi gli esami. Dopo qualche minuto mi richiama e mi dice che prima di Ottobre non ci sono posti liberi. Questo significa che per dieci mesi non avrei avuto l’invalidità. Decido di contattare personalmente gli ospedali che hanno i macchinari adatti al calcolo dei potenziali evocati ed ho scoperto che, pagando subito senza l’intermediazione della copertura della ASL, si riesce ad ottenere un appuntamento il giorno dopo. Il 10 febbraio faccio la visita, pagando 250 euro e prenoto gli altri test alla vista che ripresenterò alla prossima visita in Commissione”.
Il problema è che dal 31 gennaio 2014 Betty non è più considerata disabile per lo Stato italiano per cui, oltre a non usufruire più dei servizi che la Costituzione e la legge sanciscono per le persone affette da condizioni particolari, rischia anche il licenziamento: “Da un mese ormai devo lavorare 8 ore al giorno e non abitando più a Milano, sede della banca nella quale sono impiegata, devo prendere il treno e fare la pendolare. In più da qualche tempo è cambiata la legge per cui rischio anche il licenziamento a causa delle assenze effettuate per le visite di routine e la situazione di salute che sto vivendo. A lavoro né i colleghi né la Direttrice capiscono come mi sento e quanto io mi sforzi per svolgere il mio lavoro. Mi chiamano privilegiata e pensano che essere disabili sia un lusso non una condanna”.
La domanda sorge spontanea: possibile che lo Stato non si accorga di quanto si facciano carico al suo posto le famiglie dei disabili ed i disabili stessi? Betty non percepisce nemmeno la pensione di accompagnamento: “Avrei diritto a 256 euro mensili che non ho mai ricevuto. Ormai sono arrivata ad una situazione in cui ho anche difficoltà a svolgere le faccende di casa a causa dell’aggravarsi della mia condizione di salute. Qualche mese ho deciso di contattare un’associazione che si occupa di assistenza ai disabili per chiedere un aiuto. La loro risposta? Il Comune non dispone di questo servizio. Vista la necessità di assistenza, ho chiesto di avere la pensione di accompagnamento così da poter pagare qualcuno che svolga le faccende domestiche al mio posto. La mia richiesta è stata respinta. A questo punto mi sono rivolta ad un avvocato ed hanno spiegato che la ASL non concede mai a nessuno l’accompagnamento a meno che la persona che lo richiede non sia autosufficiente”.
Più spazio, quindi, ai fondi dei disabili, quelli veri, per restituire loro i diritti fondamentali garantiti dalla legge: “I nostri diritti sono solo sulla carta. I disabili, quelli veri come me, sono sempre messi da parte. Coloro che invece si spacciano per persone con problemi di deambulazione od altro ricevono la pensione di accompagnamento oltre a ciò che spetta loro, senza effettuare controlli né medici né assicurativi. Mi piacerebbe che le istituzioni ponessero più attenzione nei confronti della nostra condizione e rivalutino le tabelle degli assegni di invalidità che sembrano essersi fermate agli anni cinquanta”.