È L’amore incondizionato che spinge ogni essere umano a ritrovare il sentiero della salvezza. È quanto emerso a margine del momento di cultura, dialogo e confronto dalle parole narrate da don Benito Giorgetta parroco di San Timoteo di Termoli (CB) durante la presentazione del suo recente libro “Passare all’altra riva” con la prefazione di Papa Francesco nella Casa di Lavoro di Vasto (CH), in collaborazione con l’Ispettorato Generale dei cappellani delle Carceri d’Italia.
Una “storia che può servire a chi può leggerla per questo vogliamo condividerla” ha detto il sacerdote e volontario nelle carceri sostenendo che incontrando le persone, le loro storie e i loro possibili riscatti, si possano attivare forme di comunicazione e di dialogo costruttivi. Si può
sempre passare all’altra riva “perché in ognuno di noi ci sono due rive, quella del bene e quella del male”. L’invito al dialogo e alla collaborazione favorisce uno stile “collaborativo con la giustizia e la legalità”, come ha indicato l’autore nella sua introduzione al libro.
A stimolare il dibattito è stato il magistrato Daniele Colucci Consigliere della Corte di Appello di Napoli che con appropriatezza linguistica e abilità comunicativa ha travalicato la barriera del pregiudizio che intercorre tra magistrato e detenuto. Un Magistrato e un sacerdote si sono raccontati lo scorso 14 febbraio di fronte ad una assortita platea tra detenuti, direzione, personale volontario, amministrativo, di polizia penitenziaria avvocati, giuristi cattolici, assistenti sociali, per offrire un messaggio culturale di speranza e di impegno. La scelta di collaborare mettendosi al servizio della Giustizia è stata la traccia che ha condotto all’ascolto e al dibattito con una premessa a forte impatto comunicativo rappresentata da un originale video messaggio (telefonino) di papa Francesco ai detenuti.
Corroborante è stato l’invito di Francesco a non “rimanere sbagliati, né caduti”, neologismi per una comunicazione efficace che parte dal cuore. «È importante non rimanere caduti. Se cadiamo, cadiamo tutti, l’importante è che io non voglia restare a terra. L’importante è avere una mano tesa e qualcuno mi aiuti a rialzarmi» La sollecitudine del Pontefice è stata trasmessa ai presenti con tale efficacia, nel corso del dialogo tra don Giorgetta (sacerdote) e il Colucci (magistrato), da sollecitare e interessare fortemente la platea.
Cosa vuol dire allora “passare all’altra riva? L’altra riva è semplicemente cambiare mentalità. “Ascoltare, interessarsi all’esistenza dell’altro, rimotivare il ruolo di ciascuno e ridonare forza a tutte le astenie che devastano e paralizzano l’esistenza, è un pronto soccorso umano di cui tutti abbiamo bisogno”, tra le indicazioni dell’autore del libro che hanno dato concretezza al dialogo stimolando i ristretti ad intervenire. Il richiamo a Socrate sulla ricerca della verità sollecitato dal magistrato Colucci ha favorito, poi, il dialogo di un detenuto prontamente connesso con il tema e il pensiero del filosofo di Atene, mostrando interesse e preparazione.
Tutto passa, quindi, per la cultura perché la cultura e i linguaggi ad essa correlata, creano relazioni. “Umanizzare il carcere significa mettersi al servizio dell’altro, ascoltarlo, avvicinarlo, visitarlo, pensarlo” ha soggiunto don Giorgetta con esempi concreti di vita quotidiana sul campo per rendere efficace il messaggio insito nel libro. A conclusione è emerso che il ruolo dei comunicatori e del mondo dell’informazione deve originarsi dal cuore con la capacità di sintonizzarsi su un registro linguistico aperto e accogliente.
In un percorso di speranza e di impegno occorre operare in modo sinergico per migliorare l’efficacia dell’insieme dentro e fuori le mura. “Per questo chi intraprende la strada della giustizia e della collaborazione va incoraggiato e sostenuto dalle istituzioni per aiutare ciascuno a ritrovare motivazioni e speranza in quel cammino non semplice e quasi mai lineare” come ha indicato don Luigi Ciotti nella postfazione al libro.