Dopo la pesante crisi economica del 2008, l’elemento di discrimine che si pone al cospetto di chi ha amministrato, e di chi amministra il Molise, è se porsi come la longa manus dello Stato che sta riorganizzando la propria articolazione territoriale, o se negoziare in termini dialettici un diverso assetto istituzionale che preservi le funzioni essenziali e tuteli le popolazioni delle aree periferiche e marginali. La differenza tra queste due posizioni politiche è radicale. Nella prima ipotesi chi governo il Molise cerca di attutire i colpi e limitare i danni rispetto alle scelte di razionalizzazione della spesa pubblica imposte dalle politiche di austerità europee. Nella seconda ipotesi si avvia un negoziato per avere chiaro quale sarà l’approdo finale del riassetto amministrativo dello Stato e delle sue articolazioni istituzionali periferiche. Il Molise dal 2008 non ha mai avuto la forza di negoziare col Governo, ha ignorato il disegno di semplificazione che ne determinerà la scomparsa, ed ha continuato a dilettarsi nelle proprie divisioni di basso profilo, del tutto avulse dall’evoluzione degli assetti amministrativi imposti dalla troika europea.
L’agenda non è mutata dal 2008 in poi perché sia Berlusconi che Monti, Letta e Renzi, hanno semplicemente messo in atto le indicazioni di Bruxelles e Francoforte, con tagli alla spesa sociale, riduzioni delle prestazioni pubbliche, contenimento dei costi previdenziali, blocco del turn-over e del rinnovo dei contratti nella pubblica amministrazione, diminuzione a poco più del 6% sul PIL della spesa sanitaria e sforbiciate draconiane agli investimenti sulla scuola, la ricerca scientifica, l’università, il sapere, l’innovazione digitale e sulle infrastrutture materiali. Anche il confronto sulla riforma costituzionale rappresenta un frammento di queste politiche di sfoltimento istituzionale reso necessario, secondo le indicazioni della finanza internazionale, per ridurre la spesa pubblica e rimanere competitivi nel mercato globale.
Come se ridurre di 50 milioni l’anno gli attuali costi del Senato consentisse alle imprese tessili di far rientrare in Italia le produzioni che in Bangladesh hanno costi di pochi dollari di salario al mese e senza alcuna protezione per i lavoratori come conferma il crollo di uno stabile a Dacca nel 2015 dove morirono 1.300 operai nel silenzio assordante di chi compra nei negozi di Via Condotti o di Via Montenapoleone a Roma o a Milano. Per tornare al Molise è di questi giorni la conferma della soppressione della Corte d’Appello da parte del Ministro della Giustizia Andrea Orlando e tra qualche mese si riproporrà nei decreti delegati sulla semplificazione del Ministero della Funzione Pubblica anche il tema delle piccole Prefetture. Sappiamo che l’eliminazione di diversi Uffici Statali relegherà la nostra regione nella pregressa condizione di atavica marginalità storica, rendendola poco appetibile per tutti, se è vero come è vero che l’interpello nazionale per nominare il nuovo Direttore del Ministero dei Beni Culturali per il Molise è andato deserto e la postazione è rimasta vacante. I burocrati statali conoscono il disegno di semplificazione e smantellamento amministrativo in corso, e preferiscono evitare di candidarsi per una responsabilità in bilico che prima o poi farà la fine della Legione Carabinieri, della Corte d’Appello, della Prefettura di Isernia e dei Tribunali minori. Se si vuole fermare questo stillicidio che si protrae da otto anni bisogna cambiare metodo, non assecondare la narrazione nazionale e avviare una negoziazione complessiva sul futuro assetto del territorio che si estende dalle Mainarde all’Adriatico e dal Trigno fino al Fortore e al Matese. I tanti anziani ed i rari giovani che continueranno a vivere in questa landa periferica che servizi pubblici avranno, e da quali istituzioni saranno amministrati ? Cittadini o Sudditi, questo è il bivio.
Michele Petraroia