Mostra antologica di Achille Pace a Termoli, il vernissage sabato 4 novembre

La ‘stanza degli ospiti’ di settimopiano – atelier di Michele Porsia – ospiterà la sua seconda mostra dedicata ad uno dei maestri dell’arte contemporanea: Achille Pace (Termoli, 1923).
Il vernissage avverrà alle ore 18.00 del 4 novembre con musica dal vivo dei Lonely Arts (S. Casolino e M. Pace) e aperitivo offerto da cantine Angelo D’Uva e dal caseificio Barone.
Non c’è bisogno di presentazioni per un artista dal respiro europeo e così noto e presente sulla scena dell’arte internazionale dal secondo novecento ad oggi.
La mostra propone pezzi unici e di varia datazione, su tela, su cartoncino e alcune prove di stampa o colore per la preparazione di serigrafie, evidenziando la raffinatezza non solo della tecnica di Achille Pace, ma anche di alcune modalità di riproduzione, arti quasi in estinzione. L’intento è di mettere in evidenza la costanza di un discorso esistenziale condotto con una rigorosa onestà intellettuale che dal 1958, di ritorno dalla lunga
permanenza in Svizzera che gli permise di apprezzare gli espressionisti tedeschi della Brücke e di Paul Klee, ad oggi avvalora l’importanza dell’artista nella ricerca post-informale come è stato ben evidenziato già nel 1975 da Filiberto Menna e da Giuseppe Gatt. Superando la caduta della pittura, di cui il dripping ne è simbolo e traccia, l’artista parte da uno sfondo monocromo, da palpebre chiuse, un tono spesso cupo e neutro, che ricorda uno spazio cosmico. In questo spazio ‘spaziale’, vuoto, appaiono i tentativi cosmogonici di Achille Pace, spesso immagini splenetiche e minimali. Sono esperimenti, esperimenti irripetibili e rischiosi perché partono da una continua e incessante messa in discussione dei risultati. Un orizzonte, un punto rosso, la ricostruzione esistenziale e astratta di quel paesaggio reale che è vita. Secondo Giulio Carlo Argan l’opera di Pace è anche méta-arte, infatti“…Pace non setaccia entità imprecisate come lo spazio o la materia o il segno, ma queste ed altre entità in quanto storicamente acquisite al linguaggio artistico moderno. I suoi “materiali” non sono soltanto la tela e il filo, né lo spazio, la superficie, il colore, il segno; sono anche, e in primo luogo, Klee, Miro, Picasso, Malevic, Burri, Fontana…”. Se questo è vero, se l’operazione di Pace è cólta e intrisa di rimandi artistici e simbolici che attingono alla storia dell’arte, credo che abbia nel contempo l’autonomia di una ricerca personalissima e che parte dal un ‘grado zero’ della storia della costriuzione del pensiero occidentale e incarnato nella ricerca informale.
La cifra dell’opera del maestro Pace è di certo l’uso del filo di cotone, l’esistenza che diviene, citando Giuseppe Ungaretti, “una docile fibra/dell’universo” che solo in rari casi cuce. È invece, come ha evidenziato Palma Bucarelli, “una guida meditata”, un “gesto volontario” ma non gratuito. Spesso è scucitura del nesso logico, una traccia attenta e rischiosa di un itinerario iprevisto che talvolta, come fosse il filo di Arianna, serve poi come indizio per un percorso inverso, per ricordare un tragitto e ad evitare un inesorabile smarrimento nei cul-de-sac del pensiero. In questo senso il filo è una strategia per una possibile salvezza. Altre volte divide lo spazio irraggiandosi, incontrando altre esistenze fatte di macchie, fili, materiali. Si divarica, converge, crea tensioni, a volte si dispera; si aggroviglia, e vagando e disperdendosi costruisce a propria volta i propri labirinti. L’artista pur avendo anticipato, con questa sua ricerca della semplicità, un carattere evidenziato già nei primi anni ’70 da Nello Ponente e da Cesare Vivaldi, il minimalismo e l’arte povera, resta ineguagliabile per l’eleganza e la delicatezza del suo agire artistico che lo portano ad un esito estetico senza tempo e in questo senso classico.
L’aderenza tra vita e arte credo lo avvicini inoltre a pratiche performative di cui le opere sono solo un resto, un reperto al margine della vita. Il capolavoro di Achille Pace è infatti la scelta di essere artista fino in fondo: alla domanda di Hölderlin nell’elegia Pane e vino “perchè poeti in tempo di carestia?” Achille Pace risponde come laicissimo monaco con una presa dei voti. L’istinto al fare, alla poiesis, resiste nell’umana specie e si rinnova, sempre, e nonostante tutto. Il maestro è legato alla città di Termoli in cui ha operato per molti anni determinando la nascita e la crescita del prestigioso Premio Termoli. Fino a qualche decennio fa questo Premio ha costituito una pietra miliare per il dialogo e la collaborazione tra artisti contemporanei internazionali e ha determinato una collezione di centinaia di
capolavori (purtroppo attualmente non esposti).
Massimo Palumbo, artista di rilievo internazionale, padre di Kalenarte e Direttore del MAACK di Casacalenda (CB) afferma, in una nota critica scitta per questa occasione, che il ‘lavoro’ di Achille Pace, “…una delle pagine più interessanti dell’Arte Contemporanea Italiana del Novecento, è già storia ed insegnamento per generazioni diverse e sicuramente troverà quanto prima il degno riscontro nella città che hai amato alla quale hai dedicato tempo, energie ed intelligenza. (…)’settimopiano’ ci riporta sul filo del discorso ed il tuo è un argomentare che da lontano si evolve all’infinito toccando e coinvolgendo le nuove generazioni: il meglio che si possa fare in un momento storico particolare e pieno di insidie come quello che stiamo vivendo.”
È dunque un onore ospitare Achille Pace nello spazio settimopiano, che ha definito lui stesso un luogo speciale “…a Termoli, con affaccio sulla piazza del Monumento dove sono nato e dove nasce questa iniziativa d’arte. È un’eredità spirituale alla quale auguro un percorso aperto alle vie dell’arte e, come è stato per la mia esperienza, un percorso garantito dalla continuità della ricerca e dalla condivisione appassionata del territorio.”
( Michele Porsia e Maxim Gostyuzhev) 

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