La crisi dell’amministrazione della giustizia in Italia ha poliedrici aspetti e molte cause, tra cui le primigenie sono certamente il ribaltamento dei valori costituzionali della solidarietà politica, economica e sociale, e la subordinazione della persona al mercato e agli interessi economici: il risultato sono processi lunghissimi e spesso ingiusti, abuso della custodia cautelare, luoghi di lavoro privi degli standard minimi di sicurezza per gli operatori del comparto, costi insostenibili per l’accesso alla giustizia civile.
Una giustizia in crisi significa crisi dei luoghi dove i diritti dovrebbero essere tutelati: e senza sistemi adeguati per il loro riconoscimento e la loro tutela, i diritti, di fatto, finiscono per non esistere.
Qualche giorno fa, visitando un cantiere sulla Salerno Reggio Calabria, il premier Renzi ha dichiarato: “Ci vuole un’Italia che corre e che fa le cose e non che ingrassa i conti correnti degli avvocati per le varie cause”
Riflettiamo su queste parole, cui è seguito il silenzio assordante e significativo del Ministro della Giustizia.
Non vogliamo spiegare quello che tutti ormai sanno: che gli avvocati-lavoratori sono sempre più poveri, che i costi della professione sono altissimi, che la difesa è funzione costituzionale e non un modo come un altro per fottere il prossimo, che il sistema giustizia non funziona.
La frase di Renzi è importante perché non è una battuta detta a caso: al contrario, essa esprime in modo chiaro per chi sa concatenare gli eventi un disegno politico in corso di realizzazione.
Ciò che colpisce è che nelle parole del presidente del Consiglio è il processo stesso ad essere luogo deteriore, dilatorio, ostacolo dello sviluppo e del progresso: un momento di debacle dell’efficientismo governativo della narrazione renziana.
Il processo in questa narrazione smette di essere luogo della tutela dei diritti lesi e dell’accertamento delle responsabilità penali, per diventare una sorta di palla al piede per l’azione dell’esecutivo; gli avvocati, ovviamente, privati opportunisti che speculano sull’anomalia.
L’apparato comunicativo di Renzi e in parte dello stesso ministro della Giustizia Orlando stanno costruendo, in piena logica populista, un altro nemico: la giurisdizione statale.
Se la giurisdizione è un ostacolo allo sviluppo, il cittadino troverà saggio, giudicherà buon amministratore chi ne riduca la dotazione di risorse, renda più complesso e dispendioso l’accesso al processo statale, peggiora le condizioni di lavoro degli operatori del comparto, ne renda i meccanismi farraginosi, lunghi, inefficienti: al nemico vanno tagliate le gambe. In questo quadro si inserisce alla perfezione l’inversa tendenza alla valorizzazione dei sistemi alternativi di risoluzione delle controversie.
La giustizia deve, per Renzi e compagni, virare anch’essa verso luoghi privati: dove non si tutelano diritti, ma si compongono controversie negoziando sui diritti. Le conseguenze di un’operazione del genere le pagheranno, e le stanno già pagando, le persone economicamente più deboli.
Attaccare gli avvocati in questo quadro è funzionale al risultato di creazione artata del nemico. Rigirare sugli avvocati e sul personale giudiziario la responsabilità degli effetti deteriori visibili della delegittimazione dolosa del processo statale è gioco facile e populista: gli impiegati, fannulloni, gli avvocati ricchi truffatori del cittadino in buona fede, diventano gli unici responsabili del processo che non funziona, della giustizia che non arriva, dei diritti negati.
Le cose, evidentemente, non stanno così. Al contrario, avvocati e operatori giudiziari sono le prime vittime del disegno dell’esecutivo: i primi, nella loro maggioranza, pagano le spese delle disfunzioni direttamente, in termini reddituali ed esistenziali; i secondi, che si trovano a gestire con fatica inane una macchina volutamente privata di fondi e di risorse umane essenziali, proprio in una gravissima crisi economica del mercato globalizzato che ha sacrificato le persone sull’altare del capitale e dell’interesse, e che trova il suo equilibrio nello sfruttamento delle fasce più deboli della popolazione.
Gli avvocati di MGA non ci stanno. Né a consentire di essere strumentali al disegno descritto, lasciando passare sotto silenzio le affermazioni false e fuorvianti di Renzi; né ad accettare tacendo la demolizione della giurisdizione statale.
Che, al contrario, in un sistema maggioritario deve essere oltremodo valorizzata, per fare da argine a difesa dei diritti nell’aggiramento di fatto della separazione fra potere legislativo e potere esecutivo cui stiamo assistendo in questi anni, e che agendo da blocco unico sta erodendo sempre più lo spazio lasciato ai diritti, in favore di una logica mercantilistica e soggetta al capitale.
Per questo gli avvocati di MGA, gli operatori giudiziari, i magistrati onorari, i cittadini delle associazioni saranno a Roma il 18 marzo al Ministero della Giustizia.
Perché il disegno va svelato, e fermato.
Per noi, per le nostre vite, perché senza tutela dei diritti non ci sono diritti, e senza diritti non c’è democrazia.
Per il Molise, sarà presente una delegazione della M.G.A. Foro di Campobasso, incaricata di rappresentare, altresì, il Comitato Unitario in Difesa della Corte d’Appello, che ha espresso sostegno ed adesione all’iniziativa.