Da qualche giorno sulla stampa locale sta tenendo banco la vexata quaestio della Biblioteca Provinciale Albino di Campobasso che potrebbe avere conclusione felice nella giornata del 13 settembre con la sigla dell’accordo con il ministero competente. Questione che fa tenere con il fiato sospeso non solo i dipendenti della storica istituzione che rappresenta, almeno per il capoluogo di regione, un punto di riferimento della cultura molisana perché custodisce centinaia di volumi di inestimabile valore, ma anche chi è appassionato o studioso di storia e tradizioni. Sull’epilogo della vicenda non interveniamo perché sarebbe troppo complicato parlarne, anche perché, come sempre, a fare da padrona nella vicenda ancora una volta, si è intromessa la politica, cosa che non dovrebbe essere perché cultura e politica poco c’azzeccano come direbbe l’ottimo Tonino Di Pietro. Invece, ci piacerebbe fare alcune considerazioni, sempre da semplici cronisti di campagna, di come nel Molise spesso e volentieri i luoghi della cultura sono messi da parte, forse perché non si è acculturati come si deve, ovviamente senza offesa per nessuno.
Senza puntare il dito accusatorio verso nessuno, anche perché ci sono eccellenze che fanno sì che la cultura primeggi, leggasi Fondazione Molise Cultura con le innumerevoli manifestazioni, iniziative di circoli culturali in città e provincia ma soprattutto passione che vede professionisti addentrarsi in quelle che sono le radici storiche della nostra realtà spesso e volentieri ignorata, vorremo capire il perché quando si parla di luoghi di cultura scende un silenzio inaspettato. Un silenzio talmente assordante che stupisce giacché chi visita il Molise rimane esterrefatto per le cose che custodisce. Una sorta di scrigno che affonda le radici nella notte dei tempi che permette a molti di fermarsi, studiarlo, ammirarlo e soprattutto cercare di capirne il valore che rappresenta. Invece no, perché spesso e volentieri i luoghi deputati alla cultura rimangono chiusi e non fruibili, un po’ per mancanza di fondi, un po’ per la non curanza di chi dovrebbe fare si che rimangano aperti e che ha quale conseguenza la chiusura.
Questo è il dramma cui si assiste e che la dice lunga come le anomalie nel campo aleggino a trecentosessanta gradi. Una non cultura la cui causa è l’assenza totale d’interesse dettato forse da invidie tra fazioni, gelosie e non volontà di aprirsi, cosa essenziale se si vuole portare a conoscenza di quello che si custodisce. Fortunatamente qualche cosa si sta muovendo, grazie a chi si è accorto che i luoghi della cultura del Molise possono essere l’anello di congiunzione con le realtà limitrofe che fanno dell’Italia un vero e proprio museo, biblioteca, zona archeologica, pinacoteca, glittoteca, a portata di tutti e soprattutto visibile perché non sempre chiusi in luoghi dove non si riesce a trovare la chiave di entrata. Luoghi che, invece, sono il vettore della conoscenza. Luoghi che ci raccontano il modo di vivere di genti che nei secoli ha fatto si che anche il piccolo Molise sia stato la sinapsi che congiungeva popoli diversi tanto da assurgere a veri e propri punti di riferimento. Non ce ne voglia chi è deputato a occuparsi delle vestigia ma è la verità. Una verità che scotta e che si scontra sempre più con gli “interessi” che non dovrebbero esistere. “Interessi” che portano inesorabilmente al deposito di “polveri” che non permettono di leggere quello che è stato e, se le cose dovessero persistere, rimarranno chiusi chissà per quanto altro tempo.
Massimo Dalla Torre